Milano – E se la zona rossa del Lodigiano, interessata dall’emergenza Coronavirus, si estendesse anche alla Liguria e ai suoi porti? Oppure ai vicini grandi hub logistici della Lombardia come Melzo o in aree densamente produttive dell’Emilia come il piacentino? A chiederselo, sono alcune associazioni del cluster marittimo-portuale che a due giorni di distanza dall’escalation del virus, non escludono più nulla. Il livello di guardia è altissimo, la psicosi regna sovrana, e a pagarne le conseguenze è a cascata la movimentazione della merce da e per il Nord Italia. Da qui la richiesta unanime delle associazioni di categoria di istituire il prima possibile una task force presso il ministero dei Trasporti per monitorare e gestire l’impatto Coronavirus sulla logistica.
In questo momento, cosa sta accadendo nei porti italiani? “La situazione era già difficile prima per i ritardi nei tempi e nelle performance delle merci in entrata e in uscita dagli scali italiani, ora c’è stato il colpo di grazia: i controlli si sono ulteriormente irrigiditi. Il problema è capire quali controlli servono e quali no”, risponde Ivano Russo, segretario di Confetra, la confederazione generale italiana dei trasportatori e della logistica, In che senso? “Se nel decalogo del ministero della Salute e nel primo Dpcm (decreto del presidente del Consiglio, ndr) la merce non è stata considerata un veicolo di diffusione del virus, mi chiedo qual è la necessità per alcuni uffici di sanità marittima di fare controlli più approfonditi sulla merce trasportata su gomma e ferro? Un altro problema riguarda il trasferimento dei medici spostati per fare i controlli sulle persone, ma sottratti ai servizi dedicati alle merce della logistica”.
Poi, c’è tutta la partita sui volumi che giorno dopo giorno registra un drastico calo: “Gli analisti internazionali stimano una contrazione del Pil cinese di circa l’1%, questo significa meno produzione industriale che viaggia su contenitori e di riflesso meno merce nei porti italiani. Il tendenziale per i primi 40 giorni del 2020, rispetto al 2019, parlava di un incremento dei traffici del +0,5%. Se si considera che lo scorso anno si è chiuso con il +0,7%, significa che siamo già a -0,2%. Se poi si considera che il 2018 si è chiuso a +1,7%, significa che siamo a -1,2%. Con l’aggravarsi del Coronavirus, il rischio concreto è quello di entrare in recessione non più tecnica ma reale”, spiega Russo.
Un’altra nota dolente riguarda i lavoratori che legittimamente rivendicano e chiedono garanzie alle autorità competenti circa la salubrità delle operazioni che svolgono in banchina o in aree retroportuali. “Stiamo provando a capire la situazione, ma non è facile: chiederemo un incontro urgente al governo”, premette Stefano Malorgio, segretario generale della Filt Cgil.
“A Genova, ad esempio, c’è una contrazione verticale dei volumi del 30%. La sensazione è che la flessione possa aggravarsi ulteriormente nei prossimi giorni e che l’incertezza operativa si allarghi a macchia di leopardo in altri porti italiani, come peraltro sta già accadendo. Poi, c’è tutto il problema legato alla catena logistica considerato che il focolaio del virus si trova all’interno di un’area a ridosso di Milano e dei grandi hub della logistica. Mi chiedo: per un camionista che parte dalla Lombardia fino a quando sarà possibile entrare nel porto di Genova o in altri porti?”. Che cosa sta accadendo in giro per l’Italia? “Le Regioni si muovono in ordine sparso, prendiamo il caso della Puglia: qui hanno deliberato un provvedimento che impone a chiunque sia stato in Lombardia nei 14 giorni precedenti l’esplosione del virus di avvisare prima di entrare nei porti. Se questo provvedimento fosse preso anche il Liguria, sarebbe la paralisi totale. Urge un coordinamento tra governo e regioni che al momento non c’è”, risponde Malorgio.
Un grido di allarme arriva anche dagli spedizionieri milanesi: “L’incertezza non aiuta le imprese, anzi rischia di creare più danni che gli stessi effetti del virus perché destabilizza il sistema logistico del Paese. Se la situazione dovesse prolungarsi, sarebbe un danno gravissimo per l’economia italiana perché la Lombardia rappresenta il polmone produttivo del Paese. Se si ferma Milano, si ferma l’Italia. Rilanciamo con forza l’istituzione di una task force presso il ministero dei Trasporti”.
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