Lavoro

Dalla logistica ai porti, l’importanza di difendere dignità e sicurezza del lavoro / Editoriale

La morte del sindacalista Si Cobas Adil Belakhdim a Biandrate, investito da un camionista che ha forzato il blocco dei lavoratori, è stato un fatto drammatico. Una giovane vita è stata spezzata. L’emozione, il dolore della vicenda deve aiutarci a riflettere, ad agire affinché le cause che hanno generato questa vicenda siano rimosse.

Da tempo si avvertono e si denunciano nel settore della logistica, situazioni di non rispetto delle più elementari regole nel lavoro. Contratti non rispettati, lavoro in nero, buste paga taglieggiate da caporali e cooperative spurie, orari di lavoro insopportabili, forme di schiavismo come quelle che incontriamo in settori dell’agricoltura.

Nel percorso dal produttore al consumatore delle merci vi sono aree di grandi, enormi profitti, ma anche zone di ingiusto, pesante sfruttamento del lavoro e dei lavoratori. Il riequilibrio è essenziale. Grandi gruppi internazionali che pagano tasse risibili, che chiudono gli occhi di fronte a pezzi del loro ciclo produttivo/logistico affidati con il massimo ribasso a società che nascono e muoiono velocemente per non lasciare traccia e che negano diritti e dignità al lavoro. Queste vicende danneggiano quegli imprenditori, e sono tanti, che rispettano le regole, che pagano le tasse. Lo Stato deve intervenire con maggiore energia per far rispettare leggi e regole contrattuali.

Questa situazione che troviamo in settori della logistica, se non corretta, invertendo la rotta, può infettare anche altri settori legati al trasporto delle merci.

Proviamo a guardare la portualità: scopriremo che vi sono segnali preoccupanti che ci indicano cedimenti dell’impianto riformatore affermato con la legge 84/94, una legge “speciale” che ha cambiato profondamente e positivamente il settore. Quella riforma è stata una delle pochissime che si è realizzata con un percorso parlamentare. La maggioranza delle altre riforme sono nate con decreti o leggi delega. Si è passati dalla gestione pubblica delle operazioni portuali a quella privata con il consenso. Il punto che considero centrale è rappresentato dal fatto che nei porti italiani “il mercato delle imprese e del lavoro è aperto ma regolato”. Grande ruolo, autoritativo, di disciplina e di controllo è affidato alle AdSP e all’Autorità Marittima per la parte di loro competenza.

L’impianto iniziale della riforma dei porti prevedeva in primis l’arretramento del pubblico, dei Consorzi, Enti portuali, abbandonando ruoli d’impresa, affermando funzioni di Autorità, regolazione e disciplina. Nascevano le imprese portuali, riconducibili nell’art.16, che potevano operare per conto terzi su banchina pubblica, e quelle che ottenendo una concessione diventavano art. 18.

Poi vi erano le vecchie Compagnie portuali che prima della riforma operavano in regime di monopolio riconosciuto dal art. 110 e 111 del Codice della Navigazione. Con diversi passaggi si è arrivati all’attuale art. 17 che può essere chiamato dalle imprese a coprire i picchi di lavoro. Successivamente si è dato vita ai 16 bis per quelle imprese che svolgono operazioni complementari ed accessorie alle operazioni portuali.

Una ulteriore variazione è rappresentata nella modifica del comma 7 dell’art. 18 della legge 84, la possibilità per i 16 di svolgere pezzi di ciclo operativo presso i 18.

I passaggi contenuti nel citato comma 7 utili ad inquadrare il tema sono: “In ciascun porto l’impresa concessionaria di un’area demaniale deve esercitare direttamente l’attività per la quale ha ottenuto la concessione”; “Su motivata richiesta dell’impresa concessionaria, l’autorità concedente può autorizzare l’affidamento ad altre imprese portuali, autorizzate ai sensi dell’articolo 16, dell’esercizio di alcune attività comprese nel ciclo operativo.

Il ruolo di controllo e vigilanza delle AdSP in merito al citato art.7 della legge 84 deve essere incisivo riguardo all’obbligo del concessionario ad esercitare, “deve”, direttamente l’attività.

Il secondo aspetto, che oltre alla vigilanza deve essere preceduto dalla autorizzazione, riguarda la possibile richiesta “motivata” da parte del terminalista di utilizzo di art.16 a cui affidare attività comprese nel ciclo operativo. L’Autorità concedente “può” autorizzare, quindi deve valutare la richiesta. Quali sono i criteri per autorizzare dei 16 a svolgere pezzi di ciclo operativo? Dovrebbero essere la dimensione della impresa, il possesso di mezzi meccanici idonei, la disponibilità di personale specializzato. Altra domanda. Queste “alcune” attività del ciclo appaltate ai 16 hanno un limite? Possono rappresentare il 10% , il 20%… La cosa non è definita.

Altro elemento di riflessione. Vi sono scali in cui il numero dei 16 è inversamente proporzionale alla dimensione dei porti. Nel caso del porto di Genova non vi sono art.16, solo 18 e il 17.
Gli art. 16 devono rispondere correttamente alle disposizioni di legge, altrimenti è evidente che vi sarà una sovrapposizione con le funzioni assegnate all’art.17, quelle di fornitura di manodopera temporanea per affrontare i picchi produttivi.
Il gigantismo navale richiede maggiore flessibilità e concentrazione di lavoratori .
I lavoratori operativi nei porti, se escludiamo i 1.200 dipendenti delle AdSP, gli amministrativi delle imprese portuali, sono circa 18 mila di cui 2.500 degli art.17 sia del comma 2 che del comma 5, ai quali vanno sommati circa 400 avviamenti giornalieri di interinali aggregati ai 17.
Quindi abbiamo circa il 16% di flessibilità sui picchi fornita dagli art.17.
Vi sono porti, anche importanti, in cui il 17 non esiste o è pochissima cosa. Questo vuol dire che altri soggetti, art.16, sotto forma, in alcuni casi, di cooperative forniscono personale portuale alle imprese terminalistiche.
Possiamo affermare che il bisogno di flessibilità regolata nei porti si aggiri attorno al 25%.
È necessario condurre uno sforzo per regolare il lavoro portuale, nell’interesse delle imprese portuali virtuose, vigilando anche sul versante marittimo. Impedire che l’autoproduzione, voluta da alcuni armatori, alteri pesantemente equilibri e inserisca quegli elementi distorsivi presenti nella logistica fuori dai porti. Le stesse imprese portuali sarebbero messe in discussione dall’affermarsi di forme di autoproduzione, non solo i lavoratori portuali.