Cargo Logistica Porti

“Espo sbaglia sui fondi Cef, ai porti servono strumenti eccezionali per il Covid 19” / L’intervento

di Davide Santini, avvocato marittimista

Davide Santini

Con un intervento del segretario generale Isabelle Ryckbost, Espo – European Sea Ports Organisation – suggerisce alla Commissione europea di utilizzare i fondi Cef, (Connecting Europe Facility), per sostenere i porti in grave crisi sistemica per il rallentamento dei traffici, per le difficoltà degli operatori terminalisti e della logistica non appena possa essere affrontata la Fase 2. Il presupposto da cui parte l’intervento è surreale, afferma infatti la Ryckbost che i piani di emergenza funzionano bene e i porti europei sono pienamente operativi.

In realtà, e al contrario, i terminal container hanno cali di traffico mai visti in precedenza, gli ocean carrier concentrano i servizi sospendendo gli scali in molti porti, il traffico passeggeri è azzerato e le gigantesche stazioni marittime vuote e chiuse, i concessionari sono in grandissima difficoltà anche solo per effettuare il pagamento dei canoni demaniali e gli Enti gestori, che vivono principalmente di tributi sulle merci in transito, vedono defalcati gli introiti previsti nel 2020 e sono conseguentemente costretti a rivedere i piani di investimento infrastrutturale e, in molti casi, anche la gestione corrente.

Tutto bene quindi per il momento, limitiamoci a pensare al dopo, alla Fase 2 ed ai sopravvissuti. La struttura attuale dei fondi Cef tuttavia non è strutturata per un tipo di impiego straordinario, si basa infatti su progetti e piani articolati basati su progetti ed opere complesse e non può essere considerata come quella di uno strumento emergenziale o post-emergenziale. L’ultima call, che prevede risorse per,  soli, 1.4 miliardi di euro ripartiti, quanto a 750 milioni di euro, tra tutti i 28 Stati membri ed i restanti 650 milioni di euro disponibili solo per i Paesi eleggibili al fondo di Coesione (gli Stati membri il cui reddito nazionale lordo pro-capite è inferiore al 90 % della media Ue. Nel periodo di programmazione 2014-2020 il Fondo di coesione fornisce ulteriori finanziamenti per 63,4 miliardi di euro a 15 Stati membri: Bulgaria, Croazia, Cipro, Cechia, Estonia, Grecia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia e Slovenia), è stata lanciata il 16 ottobre 2019 ed è scaduta il 26 febbraio 2020, quindi non si tratta tanto di rimuovere vincoli quali lo “use it or lose it” quanto del fatto che al momento i fondi sono in corso di assegnazione per progetti ed opere antecedenti la crisi e l’eventuale disponibilità residua, ammesso che ve ne sia una, è verosimilmente ben poca cosa rispetto alle esigenze anche di un solo Paese.

Come tutti sanno i fondi Cef operano in co-finanziamento, vale a dire che il percipiente è chiamato a finanziare una percentuale del 50% dell’importo totale, per quanto riguarda i progetti, ed una percentuale variabile tra il 90% ed il 50%, quando si tratti di finanziamenti relativi ad opere. In estrema sintesi, l’importo stanziato per i fondi Cef è minimo rispetto alle esigenze, quasi tutti i Paesi, Italia compresa, accedono regolarmente al finanziamento di progetti, di importo assai modesto rispetto a quello delle opere, mentre pochissimi, Germania, Francia, Belgio e Olanda, possono garantire la copertura dell’importo eccedente necessario per finanziare la realizzazione delle opere. Applicare questo strumento ad una situazione come l’attuale significherebbe finanziare a fondo perduto Paesi che non ne hanno stretta necessità potendo avvalersi di strumenti diversi.

Per essere utilizzabile in queste circostanze l’importo dei fondi Cef andrebbe in primo luogo adeguato alle reali necessità, in secondo luogo ne andrebbe modificata la struttura per agevolare i Paesi che hanno maggiori difficoltà economico-finanziarie, e non sono pertanto in grado di stanziare fondi in co-finanziamento, da un lato assegnandoli a fronte della realizzazione di opere infrastrutturali di interesse comunitario, dall’altro escludendo dall’assegnazione i Paesi che hanno risorse per far fronte all’emergenza in proprio o mediante l’aumento del debito pubblico. A questo punto, è molto più ragionevole studiare uno strumento nuovo, eccezionale, da finanziare a fondo perduto in massima parte e che diventi una risorsa stabile in futuro per affrontare le crisi indipendenti dalla congiuntura politico-economica del Paese o dei Paesi colpiti, una sorta di banca del sangue insomma che intervenga in caso di necessità di massicce trasfusioni. Così come formulata e nonostante l’autorevolezza dell’intervento non si tratta di una soluzione nemmeno palliativa o provvisoria, d’altronde l’eccezionalità del momento non consente soluzioni timide o adattamenti di strumenti esistenti, né per le dimensioni dell’intervento, né per le forme, né per i tempi necessari.