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Il Green Deal Ue e i Documenti di Pianificazione Energetico Ambientale delle Adsp / L’analisi

Ospitiamo un intervento di Giuseppe Zollino, professore di Tecnica ed Economia dell’Energia presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di Padova (giuseppe.zollino@unipd.it)

Gli obiettivi e gli strumenti proposti dal Green Deal europeo, come declinati dalla European Sea Ports Organisation per il trasporto marittimo ed aree portuali, appaiono in larga misura sovrapponibili con le finalità ed i contenuti dei Documenti di Pianificazione Energetico Ambientale delle Autorità di Sistema Portuale italiane. Se ne deduce che le Autorità possono e debbono svolgere un ruolo fondamentale in chiave di ambientalizzazione non solo del trasporto marittimo, ma di tutte le attività che vengono svolte all’interno delle aree portuali, con consistenti benefici per le aree limitrofe e per l’intera città.

È indispensabile un approccio pragmatico e progressivo, a partire dall’implementazione delle numerose tecnologie già mature, utilizzando tutti gli strumenti finanziari disponibili, incluso il project financing, per evitare che obiettivi di lungo periodo estremamente sfidanti, come appaiono quelli del Green Deal, costituiscano un facile alibi per non conseguirne di intermedi, già alla portata.

L’11 dicembre scorso, la Commissione Europea ha presentato la comunicazione sullo European Green Deal, un “patto verde”, per “trasformare l’Unione Europea in una società equa e prospera, con una economia moderna, competitiva ed efficiente nell’uso delle risorse, con emissioni di gas a effetto serra azzerate entro il 2050”. La stessa Commissione riconosce che “diventare il primo continente a impatto climatico zero costituisce contemporaneamente la sfida e l’opportunità più grandi del nostro tempo”. E infatti, una seconda comunicazione, pubblicata a metà gennaio, stima l’entità degli investimenti necessari: solo per gli obiettivi intermedi al 2030 (più ambiziosi di quelli indicati a giugno 2019: per esempio, ridurre del 55% le emissioni di CO2 rispetto al 1990, quando a giugno si puntava al 40%) non sarebbero più sufficienti i 500 miliardi di euro all’anno, 5000 miliardi in tutto da qui al 2030, stimati a giugno 2019, ma servirebbero “additional investments”, ancora non quantificati.

Come noto il budget che gli Stati Membri mettono a disposizione dell’Unione Europea è di pochissimo superiore all’1% del PIL europeo, quindi le risorse che la Commissione promette di mettere a disposizione per il Green Deal sono dell’ordine di 40 miliardi/anno, circa un ventesimo degli investimenti necessari per attuare la svolta epocale delineata dal “patto”.
Per di più nei grandi cambiamenti c’è sempre qualcuno che rischia di pagare il conto e inevitabilmente prova a mettersi di traverso. In soccorso delle aree geografiche e dei settori economici penalizzati, a metà gennaio la Commissione ha proposto l’istituzione di un “Just Transition Fund”, di poco più di 1 miliardo all’anno, che ha già innescato accese discussioni, sia per l’esclusione di alcune tecnologie ad emissione bassa (gas naturale) o nulla (nucleare), sia perchè finisce per assegnare più risorse ai Paesi che negli ultimi anni hanno meno investito in decarbonizzazione (Polonia in primis, ma anche Germania), di fatto passando – dicono i critici – da “chi inquina paga” a “chi inquina riceve”.

Sulle opportunità e criticità del Green Deal ho già scritto di recente su Rivista Energia (www.rivistaenergia.it/2020/01/quale-destino-per-il-green-deal-europeo/) dove rimando gli interessati ad un approfondimento.
Qui vorrei evidenziare che, prima ancora che tutte le misure previste dalla “tabella di marcia” allegata al Green Deal vengano definite più in dettaglio nei prossimi mesi, appare chiaro che la sfida si dovrà affrontare soprattutto con le politiche nazionali, che risulteranno cruciali e soprattutto, data la posta in gioco, dovranno essere accuratamente calibrate ed ottimizzate sulle diverse realtà nazionali, in modo che il green deal sia davvero un’occasione di crescita virtuosa e non rimanga l’ennesimo elenco di obiettivi roboanti e inefficaci.

Questo vale a maggior ragione per il settore dei trasporti, oggi più indietro di altri nel percorso verso la sostenibilità ambientale (riduzione delle emissioni di CO2 e di inquinanti solidi e gassosi). Il Green Deal indica chiaramente che “i trasporti dovrebbero diventare drasticamente meno inquinanti, specialmente nelle città”. Tutti i trasporti terrestri, a cominciare dai quelli pubblici per continuare con i privati, dovrebbero intraprendere un percorso verso la mobilità a zero emissioni. Entro metà 2021 la Commissione rivedrà la legislazione sulle emissioni di CO2 dei veicoli ed intende estendere il sistema ETS (il commercio delle quote di emissione di CO2) al settore dei trasporti stradali. Inoltre, promette “nuove iniziative legislative nel settore dei trasporti marittimi, inclusa la regolazione degli accessi nei porti europei e l’obbligo per le navi ormeggiate dell’alimentazione elettrica da terra”. Insomma, il cold ironing diverrebbe (finalmente) obbligatorio.

Wd a proposito di porti, la European Sea Ports Organisation (ESPO) ha pubblicato pochi giorni fa la propria visione su una possibile tabella di marcia per l’implementazione del Green Deal nei porti europei.
L’organizzazione che rappresenta le autorità portuali europee riconosce che i porti sono un partner strategico verso il Green Deal, ma al tempo stesso raccomanda che la decarbonizzazione venga perseguita nel modo più efficiente possibile, così da salvaguardare la competitività dell’economia europea, tenendo conto delle peculiarità dei diversi porti ed evitando perciò di imporre a tutti la stessa ricetta.

Altro aspetto chiave è la necessità di un approccio graduale nella riduzione delle emissioni delle navi in banchina, con un focus iniziale sulle banchine in prossimità delle aree urbane e sui segmenti navi da crociera e traghetti, con l’obiettivo di ridurre del 50% al 2030 le emissioni all’ormeggio, come valore medio su tutte le tipologie di navi. L’alimentazione elettrica da terra (cold ironing) è una delle modalità principali per conseguire l’obiettivo.
Tuttavia, il contenimento dell’impatto ambientale in banchina è solo una parte della strategia di decarbonizzazione dei trasporti marittimi, che richiede anche la sostituzione del carburante. Ma prima di arrivare ad alimentazioni completamente CO2-free (biocombustibili o idrogeno) va riconosciuto il ruolo del GNL come carburante di transizione e pertanto misure a sostegno degli investimenti in infrastrutture GNL dovrebbero essere mantenute anche dalla prossima programmazione economica UE 2021-2027.


Particolarmente condivisibile nella visione di ESPO è la valorizzazione dei porti come potenziali cluster che mettono insieme energia, industria ed economia circolare e sostenibile; in altre parole i sistemi portuali possono efficacemente assumere un ruolo proattivo, in modo che –come scrive ESPO- “rendere verdi i porti significhi molto di più di rendere verde semplicemente il trasporto”. Un ruolo chiave in questo processo di contaminazione dovranno svolgerlo le Autorità di Sistema Portuale, innanzitutto supportando concessionari ed operatori dell’area portuale nella definizione di propri percorsi di sostenibilità, quindi promuovendo investimenti infrastrutturali che li mettano in pratica, sfruttando ogni possibile sinergia che ne riduca i costi. E qui si possono portare numerosi esempi: dall’efficientamento energetico degli edifici, alla generazione di energia da fonti rinnovabili (eventualmente coinvolgendo aree limitrofe al sistema portuale) al possibile accumulo elettrochimico, alla tri-generazione a gas (offrendo la fornitura di calore anche ad edifici contigui all’area portuale, nei casi in cui essa sia a ridosso di aree ad uso terziario o civile, come spesso capita per i porti italiani) all’impiego di pompe di calore ad alta efficienza, all’elettrificazione dei sistemi di movimento merci e passeggeri, all’allestimento di colonnine di ricarica per i veicoli elettrici nelle aree di sosta, ecc.

Nella trasformazione sostenibile di tutte le attività connesse con l’area portuale, la digitalizzazione dei processi fornirà un contributo determinante, aumentando i benefici conseguiti: per l’aumento di efficienza nella gestione dei flussi di merci e passeggeri, la creazione di nuovi servizi intelligenti, la trasparenza sui risultati conseguiti in termini di riduzione dell’impronta di carbonio, ecc.

Occorre dire che in questo campo il nostro Legislatore e le nostre Autorità di Sistema Portuale non sono state sinora a guardare. Infatti, il decreto legislativo 4 agosto 2016, n. 169 prevede che le Autorità di Sistema Portuale redigano il Documento di Pianificazione Energetica e Ambientale del Sistema Portuale (DPEASP), secondo linee guida fornite dal Ministero dell’Ambiente, con la finalità di ridurre le emissioni di CO2, nel quale vengano pianificati interventi specifici per il miglioramento dell’efficienza energetica e l’impiego di fonti rinnovabili in ambito portuale. Alcune Autorità hanno già elaborato DPEASP molto accurati, altre li stanno ulteriormente migliorando, altre ancora si accingono a farlo.
In tutti i casi, a ben guardare, sostanzialmente tutte le tipologie di interventi e le tecnologie abilitanti per l’implementazione del Green Deal nei porti, indicate nel roadmap di ESPO, sono presenti nei DPEASP. Si tratta ora di passare celermente dalla carta all’implementazione, progressiva come anche ESPO raccomanda, degli interventi previsti, a cominciare da quelli che a normativa vigente e con le tecnologie disponibili sarebbero già economicamente sostenibili. Un’opportunità che le Autorità di Sistema Portuale dovrebbero valutare attentamente è di realizzare gli interventi in finanza di progetto, ad ulteriore garanzia della sostenibilità economica degli investimenti considerati prioritari.
Anche nei sistemi portuali, insomma, come per l’intero Green Deal, è necessario seguire un approccio pragmatico e progressivo, partendo dall’implementazione delle numerose tecnologie già mature, utilizzando tutti gli strumenti finanziari disponibili, per evitare che obiettivi di lungo periodo estremamente sfidanti costituiscano un facile alibi per non conseguirne di intermedi, già alla portata. Ciascuno, Autorità di Sistema Portuale, Governo, Regioni, Imprese, faccia ora al più presto la sua parte.