Porti

Il nostro benvenuto a bordo all’equipaggio di ShipMag

Milano – Pubblichiamo il messaggio augurale di Cesare Guidi, Presidente dell’ANGOPI (Associazione Nazionale Gruppi Ormeggiatori e Barcaioli dei Porti Italiani).

È con molto piacere che raccolgo l’invito a rivolgere un messaggio augurale alla testata digitale ShipMag.it, iniziativa editoriale rivolta ai settori della logistica e della portualità, ma in realtà, atteso il rilievo dei due comparti per l’intero sistema economico del nostro Paese, indirizzata anche ad altri attori del mondo economico.

L’ultimo Rapporto sull’Economia del Mare realizzato dal Censis e dalla Federazione del Mare, documento ormai di riferimento per chi opera nel settore, ci descrive un cluster produttivo di beni e servizi capace di generare un valore di 33 miliardi di euro (2% del Pil), e in grado di sostenere con i suoi acquisti numerose altre branche dell’economia, assorbendo 170.000 addetti diretti e altri 310.000 nelle attività manifatturiere e terziarie indotte.

Eppure, questi numeri non sempre sono tenuti nella debita considerazione nelle scelte del legislatore. Stiamo, in particolare, vivendo un periodo in cui le criticità del mondo marittimo e portuale non sembrano essere fra le priorità del Governo e del Parlamento e ciò costituisce motivo di forte preoccupazione.

In effetti, l’impianto normativo che a partire dalla prima metà degli anni novanta ha disciplinato il nostro settore, riuscendo a contemperare in modo equilibrato gli interessi di tutte le categorie coinvolte, appare oggi oggetto di modifiche estemporanee, collocate al di fuori di un disegno organico e che rischiano di compromettere quel delicato equilibrio finora mantenuto. C’è una caratteristica che ha da sempre contraddistinto il nostro sistema portuale e che, a mio avviso, deve continuare a farlo, atteso il ruolo di asset strategico per l’intera economia svolto proprio dai porti.

Mi riferisco alle funzioni pubblicistiche che il vigente quadro normativo attribuisce al porto, in forza delle quali il compito di chi è chiamato a regolamentare le attività che ivi si svolgono deve essere orientata alla difesa dell’interesse pubblico, fine certamente prevalente rispetto all’obiettivo della massima utilizzazione economica degli spazi e/o del perseguimento della redditività massima del loro utilizzo. È forte il timore che recenti iniziative assunte in ambito europeo, e mi riferisco alla decisione riguardante i canoni di concessione, minino questo impianto, sulla base di una insostenibile assimilazione del nostro sistema portuale a quello dei Paesi del nord Europa.

Eppure, nel recente passato l’Europa ha dimostrato una certa sensibilità a tenere conto delle specificità di ciascuno Stato Membro. Il Regolamento 2017/352 sui servizi portuali, al quale stiamo ora dando pratica applicazione, costituisce il punto di arrivo di un lungo percorso, che aveva inizialmente considerato solo la liberalizzazione dei mercati come unico modello applicabile ai servizi portuali.

Grazie anche al lavoro svolto dal Parlamento Europeo e dal Consiglio Europeo, la vigente normativa unionale ha meritoriamente valutato come compatibili con l’ordinamento dell’Unione diversi modelli organizzativi, derivanti dalle specificità dei porti di ciascuno Stato Membro e dei traffici che quei porti scalano.

Confido allora che la sensibilità in quella occasione dimostrata dal legislatore dell’Unione accompagni anche le scelte su questa delicata questione dei canoni demaniali.

Non può, poi, non assistere con una certa preoccupazione al progressivo consolidarsi di fenomeni di integrazione verticale e orizzontale fra operatori marittimi, portuali e della logistica, con il forte timore che la puntuale e specifica disciplina del lavoro propria dell’ambito portuale venga contaminata da normative certamente meno stringenti e inadeguate per una effettiva tutela dei lavoratori dei porti.

Non è certamente questa la sede per approfondire il tema, ma le ragioni che hanno nel passato giustificato una specifica disciplina del lavoro portuale e particolari normative applicabili a chi in tale ambito opera, quali ad esempio la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro, continuano a mantenere la loro validità.

Ricordo che nella passata legislatura un disegno di legge in materia di riforma portuale aveva opportunamente considerato la questione, proponendo il controllo pubblico sulla possibile integrazione verticale fra le attività economiche svolte in ambito portuale e quelle relative al sistema logistico.

Si tratta di un controllo a mio avviso necessario per evitare forme di dumping sociale, con riduzione delle tutele economiche e sociali che, come detto, caratterizzano la specificità del lavoro in ambito portuale, specificità che, qualora non salvaguardata con un’apposita norma di legge, rischia di essere disconosciuta per effetto del richiamato processo di integrazione verticale e del progressivo svuotamento e/o riduzione delle attività eseguite in ambito portuale.

Naturalmente, tanto il ruolo pubblico dei porti quanto il processo di integrazione possono avere ricadute sulla categoria che rappresento, il cui modello organizzativo ha ricevuto importanti consensi, tanto da spingere autorevoli rappresentanti del porto di Rotterdam a venire recentemente a Roma con lo specifico intento di studiare proprio il nostro modello.

Si tratta solo di alcuni temi di particolare attualità, a cui non può non aggiungersi anche una necessaria riflessione sulle questioni ambientali, rispetto alle quali occorrerà verificare l’impatto del “Green Deal” europeo sul nostro settore e il progressivo indebolimento dei Ministeri a favore delle Autority indipendenti, alle quali sempre più viene riconosciuta una funzione amministrativa.

Il periodo che stiamo vivendo è dunque ricco di sollecitazioni che meritano adeguate sedi di approfondimento. A nome dell’intera categoria che rappresento auguro allora alle neonata testata giornalistica di potere essere luogo di confronto per il cluster marittimo e strumento funzionale a ricostituire quel coordinamento fra operatori di cui oggi se ne avverta molto la mancanza.

È solo attraverso il necessario coordinamento che, così come avvenuto nel passato, gli operatori potranno fornire il loro fattivo contributo a coloro che sono chiamati a fare scelte per un settore di importanza strategica per il nostro Paese.