Il colosso di Ginevra ha rilevato il 25% di Moby con un’operazione che vale 80 milioni di euro. Ecco quali saranno i prossimi obiettivi del primo armatore al mondo aspettando le contromosse di Grimaldi
Una scalata infinita. Una corsa alla crescita ininterrotta. Una capacità di essere sempre un passo avanti alla concorrenza. Gianluigi Aponte ancora una volta prende in contropiede il variegato mondo dei trasporti e con una mossa a sorpresa va in soccorso della famiglia Onorato e salva Tirrenia-Moby dal fallimento, aggiungendo un nuovo mattoncino al suo impero. Sì, perché è chiaro a tutti che pur avendo il Comandante acquisito una quota di minoranza del 25% per un cifra intorno agli 80 milioni di euro, saranno d’ora in avanti i suoi uomini, dietro le quinte, a dettare strategie e programmi dei traghetti dell’ex flotta di Stato e della Balena azzurra. Esattamente come avvenuto dopo il salvataggio (con relativo ingresso nell’azionariato) del gruppo Messina. Del resto è risaputo: “the stealth fighter”, il combattente invisibile, non è uomo da mezze misure, dove arriva detta le sue condizioni. E comanda.
Conosciuto al grande pubblico per le navi da Crociera della Msc e per l’offerta di rilevare la ex Alitalia insieme con Lufthansa, Aponte è ormai uno dei più importanti operatori economici in Italia. Controlla compagnie di navigazione cargo, società di traghetti, terminal portuali (il più importante è Gioia Tauro), agenzie marittime, agenzie turistiche, tour operator, società ferroviarie, poli tecnologici e di cybersecurity. Sistemata la partita Tirrenia, conta di chiudere quanto prima la pratica Ita. E già guarda a nuove prede: gli interporti del Nord Italia. I suoi competitor vendono? Lui è pronto a comprare, in Italia e nel mondo. Anche perché ha una liquidità favolosa, dovuta agli utili elevatissimi della sua flotta di portacontainer negli ultimi due anni: si parla di qualcosa come 20 miliardi di euro. Il prossimo obiettivo è crescere nella logistica, controllare tutti i gangli del trasporto delle merci (navi-porti-ferrovie-cielo). Sempre più protagonista di un settore globalizzato e in profonda trasformazione.
Partendo dal nulla, ha creato in cinquant’anni un impero sul mare fatto di portacontainer, navi da crociera, traghetti e terminal portuali. A fine 2021 è diventato il numero uno mondiale degli armatori di portacontainer. Con una spettacolare campagna acquisti di bastimenti di seconda mano e di nuovi ordini ai cantieri cinesi (51 unità) costata parecchi miliardi di dollari, ha sorpassato la flotta del colosso danese Maersk, lasciando ben distanti la cinese Cosco e la francese Cma-Cgm. Italianissimo, ex scugnizzo di Sant’Agnello, Sorrento, Gianluigi Aponte, 81 anni, governa da Ginevra, in Svizzera, un gruppo, Msc (Mediterranean Shipping Company) che oggi vale oltre 30 miliardi di dollari di fatturato, 100 mila dipendenti nel mondo (15 mila in Italia), 641 navi di proprietà (più le 51 ordinate) per una capacità di carico di 5 milioni di teu (unità di misura dei container, pari a un cassone da 20 piedi), più di 21 milioni di container trasportati lo scorso anno, 500 diversi porti scalati nel mondo, qualcosa come 493 uffici, con punti di forza negli Usa, in Estremo Oriente e in Sudafrica. Ma non basta. Msc crociere è il terzo brand crocieristico mondiale, con una flotta di 19 navi e nei prossimi cinque anni varerà altre 8 unità investendo altri 6 miliardi. Poi ci sono i traghetti di Gnv e della Snav e, soprattutto, il Til Group, il più grande operatore di terminal portuali del mondo: fondata nel 2000, possiede 7 strutture e ha partecipazioni in altre 40 nei cinque continenti. E alla fine dello scorso anno, ecco l’offerta miliardaria, 5,3 miliardi, per il 100% di Bolloré Africa Logistics, uno degli snodi fondamentali dell’impero del tycoon francese dei telefoni e delle tv.
Eppure Msc è una family company, dove hanno ruoli chiave i figli Diego e Alexa, la moglie Rafaela e il genero Pierfrancesco Vago. Solo da pochi mesi Aponte ha strappato alla concorrente Maersk il top manager Soren Toft e gli ha affidato la carica di amministratore delegato del gruppo. Riservatissimo e schivo, non usa il computer, ma annota i dati del gruppo su un quadernino nero che porta sempre con sé. Bilanci e conti restano riservati, solo poche indicazioni di massima. Ai giornalisti che cercano di “estorcergli” qualche numero, la risposta è sempre la stessa: «Siamo in utile».
Aspetto gentile, modi cortesi, taciturno, capace di ascoltare senza battere ciglio, ma anche tagliente e diretto, Aponte parla quattro lingue, ma misura le risposte quasi avesse il bilancino da farmacista. Eppure sa essere tagliente e diretto, soprattutto con chi gli fa perdere tempo con banalità. Legatissimo alla sua Campania, tanto da assumere oltre 10 mila marittimi e impiegati provenienti dalla costiera sorrentina, Aponte si tiene ben lontano da Napoli, bella e dannata. Tutti gli armatori hanno il proprio quartier generale sul mare. Lui no. Preferisce il clima rigido del lago di Lemàno.
I bene informati dicono che la campagna d’Italia di Aponte non è affatto terminata. Guarda agli interporti e al trasporto ferroviario delle merci. E potrebbe voler chiudere il cerchio a Genova, nel caso i Gavio si decidessero a cedere il terminal San Giorgio. Ma qui la sua rotta incrocia quella del primo armatore italiano, Manuel Grimaldi, campano come lui, ma di Napoli. Proprio quel Grimaldi che da anni sostiene che Onorato fa concorrenza sleale con i soldi pubblici e che non ha certo brindato all’intervento di soccorso del Comandante ginevrino. L’interrogativo sui moli ora è questo: i due armatori troveranno un modus vivendi o siamo alla vigilia di una nuova battaglia navale?