Milano – “Il Covid 19 potrebbe rilevarsi il catalizzatore in grado di costringere l’industria dello shipping a realizzare prima del previsto quelle modifiche radicali che gli consentiranno di avvicinarsi ai requisiti richiesti dall’Imo 2050 (cioè, di ridurre del 50% le emissioni marittime di gas serra entro il 2050, ndr)”. Sono le parole di Martin Stopford, noto economista marittimo e presidente della Clarkson Research Services, rilasciate al sito inglese “Seatrade Maritime News”. “Si è discusso molto di questa sfida nel corso degli ultimi anni, ma i risultati ottenuti fino ad oggi sono stati poco soddisfacenti rispetto ai livelli di ambizione identificati”, ha aggiunto l’analista che sul tema ha scritto un documento, “Coronavirus, Climate Change & Smart Shipping”, scaricabile dal sito .
Stopford analizza i possibili scenari dell’impatto del coronavirus sul commercio marittimo mondiale, cantieri navali e tecnologie. L’analista ne individua tre potenziali, ma si focalizza in particolare su due, di cui uno più “ottimistico” e uno “terribile”, basandosi sull’esperienza acquisita sul campo nel corso degli anni. Nel primo scenario, Stopford sostiene che se il commercio mondiale seguirà il modello cinese, cioè se riuscirà ad affrontare la pandemia del coronavirus con la stessa risolutezza con cui c’è riuscito Pechino, dopo un momento di crisi tutto tornerà alla normalità, con indici di crescita in media del 3,2% all’anno dal 2022 al 2050. Se invece non ci riuscirà, allora Stopford paventa una profonda recessione economica e un crollo verticale del 15% del commercio marittimo entro il 2024, seguito da una crescita annuale di appena lo 0,7% nei prossimi 3 decenni. In entrambe i casi, fa notare l’analista, ci sarà una forte flessione di nuovi ordini nei cantieri navali nei prossimi due-tre anni. “Sappiamo che non possiamo prevedere il futuro. Ma possiamo prepararci a cambiarlo. Di sicuro, può essere più rischioso e costoso non fare nulla”, ha scritto Stopford nell’incipit del documento.