Interviste

Munari: “Per il rilancio dei porti, basta norme. Servono più semplificazioni”

“Per i porti, il Parlamento si è mosso nel quadro di riferimento dato anche dall’Unione europea, e benissimo ha fatto a chiarire le possibili ambiguità contenute nel testo di disposizione concernente le riduzioni dei canoni applicabili da ciascuna delle Autorità di sistema portuale (AdSP)”.

A bocce ferme, dopo la “promessa” di governo e MIT di concedere il limite di 10 milioni di euro a ciascuna Authority per la riduzione temporanea e parziale dei canoni concessori correggendo le ambiguità dell’art. 199 del Dl Rilancio, ritorna sull’argomento Francesco Munari, professore ordinario di Diritto dell’Unione europea all’Università di Genova, ed esperto in materia diritto dei porti, trasporti, e marittimo.

Il professore Francesco Munari

Parla a tutto campo, Munari. E attraverso ShipMag lancia alcune proposte intorno alle quali dibattere e lavorare per rilanciare i porti quale condizione essenziale per la ripartenza del Paese. La prima proposta: “Per i porti italiani, e lo dico con enfasi, ora occorre davvero una nuova stagione, che non sia normativa (basta riforme!), ma di cultura e mentalità, le quali purtroppo vanno notevolmente irrobustite, specie in alcune realtà portuali italiane”.

Da dove partire?

“Il primo aspetto va declinato ‘in negativo’, pensando ai piani di impresa e di investimento che i concessionari portuali hanno presentato ai fini del rilascio del titolo, i quali, com’è noto, vengono periodicamente verificati dalle AdSP: che l’emergenza pandemica abbia fatto saltare qualsiasi previsione è un fatto notorio, e conclamato non solo in generale, ma anche nelle stesse norme che riguardano il settore. Misure come l’allentamento delle disposizioni sugli aiuti di Stato, le proroghe ex lege del termine di scadenza delle concessioni (i.e. tutto è sospeso per qualche tempo come minimo), le riduzioni sui canoni e sui “diritto d’uso dell’infrastruttura portuale”, il sostegno al lavoro portuale in senso ampio, appaiono indicatori dell’eccezionalità della stagione che viviamo, e che andrebbe ben compresa e soprattutto gestita”.

Secondo lei, è stata compresa la stagione eccezionale che la portualità sta vivendo?

“Il problema vero è che nessuno conosce quale sarà la domanda prospettica che i nostri porti dovranno soddisfare, perché non è chiaro non solo quando e come riprenderanno il commercio e i traffici mondiali, ma neppure è chiaro come i nostri porti riusciranno a posizionarsi al riguardo”.

Difficile capirlo se poi porti importanti come Genova e Savona-Vado, oltre ai danni del Covid, devono convivere da anni con criticità infrastrutturali croniche, diventate gravissime nelle ultime settimane…

“E’ così, ma è solo un aspetto del problema. In primo luogo, pensiamo alla situazione delle autostrade liguri e all’impatto che esse hanno sui traffici dei porti di tale Regione; per eccellente che possa essere il servizio offerto dai concessionari e dai sistemi portuali interessati, è chiaro che tale situazione crea danni enormi a questi ultimi, e sviamenti di traffico che, una volta perduti, non si sa se e quando possano riprendere. In secondo luogo, pensiamo anche alle infrastrutture per GNL che tuttora vagheggiano nell’iperuranio dei progetti di vari porti nazionali. Senza questi investimenti, per cui capitali privati ci sarebbero anche, è inutile parlare di rilancio delle crociere (per cui l’Italia dovrebbe pur avere un interesse enorme), perché in Stati come Francia e Spagna, assai più lestamente di noi, scelte e investimenti sono già state fatte”.

Francia e Spagna corrono mentre in alcune AdSP italiane si fanno ancora i controlli periodici della performance dei concessionari: si chiede, ad esempio, di “asseverare” nel 2020 l’aggiornamento del business plan rilasciato anni addietro quale condizione per procedere con una valutazione positiva delle verifiche periodiche. Non le sembra un paradosso?

“Siamo al totale distacco tra realtà della situazione socio-economica e dell’impresa e impermeabilità burocratica. Questo iato, che sommessamente mi appare piuttosto surreale, non è, tengo a dirlo, un problema di regole, ma di inopportuno – se non illegittimo – gold-plating. Chiedere a un terzo di “asseverare” il futuro di qualsiasi terminal è semplicemente impossibile in questa fase, perché la turbolenza Covid-19 è tutt’altro che finita, la normalità è tutt’altro che raggiunta, gli scenari prospettici largamente ignoti. Occorre invece che le responsabilità di amministrazione e governo dei porti per come sancite dal legislatore siano assunte da chi è assegnatario delle stesse”.

Quindi, come ne usciamo?

“Secondo me, dovrà iniziare per forza una stagione di confronto e soluzioni costruttive tra AdSP, imprese, e mondo del lavoro, per cercare tutti insieme di reagire, di capire quali misure intraprendere per non perdere quote di traffico e di lavoro in danno dei concorrenti, in una situazione cioè di ‘solidarietà’ tra stakeholders pubblici, privati e istituzionali. La solidarietà è molto di moda nel periodo, ma mi pare la chiave di lettura giusta anche in questo frangente”.

Va bene la solidarietà, ma senza una vera semplificazione normativa il meccanismo s’inceppa sempre…  

“E’ il momento del coraggio e delle scelte, non quello dell’amministrazione difensiva. Dopo di che, chi avrà barato o non avrà fatto il proprio dovere dovrà essere sanzionato. Il sistema, non solo portuale, non ne può più di verifiche ex ante bloccanti, tanto più se irrealizzabili e pertanto verosimilmente anche inutili; l’abolizione dei controlli ex ante parrebbe uno dei punti qualificanti della decantata “semplificazione” dell’Italia che il Governo ha promesso a noi e all’Unione europea; ebbene, essa è già da oggi doverosamente praticabile nei porti, nei quali la normativa vigente non prevede simili soverchie verifiche ex ante, le quali, come dicevo, sono il frutto di superfetazioni burocratiche, attuate per di più a macchia di leopardo, a conferma di letture ‘locali’ delle norme che non hanno ragione di esistere”.

C’è una speranza di rinascita per i nostri porti?

“Si chiama Against all odds: ancora oggi abbiamo imprese che vogliono investire nei porti, vogliono farlo con urgenza, scommettendo sulla ripresa e sul ‘rimbalzo’ che qualcuno ipotizza. Ciò vale nella cantieristica e nelle riparazioni/trasformazioni navali, perché l’Italia ha competenze fortissime al riguardo, e una localizzazione geografica che potrebbe portare molto più lavoro e indotto se solo venisse assecondata. Ma vale anche per le operazioni commerciali e per le crociere; insomma, per molti servizi portuali in senso lato”.

Se la volontà di investire c’è, in che modo si dovrebbe e potrebbe incentivare?

“In questa fase qualsiasi progetto di investimento credibile e serio (e per vederlo non ci vogliono certo gli “asseveratori” terzi), deve avere una corsia assolutamente preferenziale, collaborativa e semplificata. Le AdSP che ricevono progetti di potenziamento infrastrutturale, o di nuovi investimenti, specie dai concessionari esistenti che vivono la crisi e cercano risposte per superarla, devono immediatamente favorire l’avvio e la chiusura dei procedimenti per consentire all’imprenditore di rispondere alla crisi e alle opportunità che essa non di rado reca con sé”.

Qual è l’approccio giusto che l’AdSP deve avere per riuscirci?

“Le imprese e i lavoratori non vanno considerati ‘controparti’ da radiografare in modo occhiuto e diffidente: sono lo strumento per lo sviluppo del porto e della stessa ragion d’essere istituzionale delle AdSP. Quelle Autorità che lo hanno capito hanno vissuto negli ultimi anni sviluppi estremamente positivi delle attività e del lavoro portuale; è indispensabile che questa diventi la regola generale in Italia. Come ho detto, se poi qualcuno avrà sbagliato o peggio ingannato l’amministrazione ne pagherà le conseguenze. Ma il non fare, e il non consentire di fare, è un vezzo – o meglio, un peccato – che non ci possiamo più permettere, neppure nei porti. Urge quindi uno scatto di orgoglio e di cultura dell’amministrazione, alla cui azione mi piacerebbe poter applicare un duplice mantra: il primo, ‘male non fare, paura non avere’; il secondo, ‘non fare, sempre paura avere’”.