
La sentenza di Bruxelles è virtualmente scritta: le esenzioni fiscali di cui godono le Autorità di sistema portuale (Adsp) italiane non sono più compatibili con le norme europee in materia di aiuti di Stato. Ad alimentare questo sospetto sono stati operatori e associazioni del cluster marittimo-portuale che in questi giorni hanno inviato alla redazione di ShipMag.it un puntuale resoconto da cui emerge tutto il loro malessere verso una decisione “sbagliata” che, se confermata, aprirebbe di fatto scenari inediti per i porti italiani.
Abbiamo raccolto l’appello di Assoporti, Assiterminal/Confetra, Angopi ormeggiatori, Ancip (compagnie e imprese portuali), organizzazioni sindacali. Ora, lo rilanciamo con forza convinti che il Governo abbia ancora tempo (poco) e argomenti seri (tanti) per difendere l’assetto “regolatorio” dei nostri porti in sede Ue: ovvero, che le Adsp sono enti pubblici, non economici, che svolgono attività amministrative e di regolazione delle imprese concessionarie, quindi non svolgono attività d’impresa. La posizione di Roma deve essere ferma, perché il rischio è che se passasse la linea della Commissione si aprirebbero enormi problemi che danneggerebbero le imprese e la portualità italiana.
Limitiamoci a segnalare tre conseguenze. La prima: si passerebbe dal regime concessorio alla “locazione”. Questo vuol dire che chiunque può prendere in affitto un’area portuale senza vincoli e tanto più senza rispettare i piani d’impresa (portare traffico e dare occupazione, su tutti). La seconda: riconoscendo le Adsp quali imprese, ogni intervento finanziario dello Stato in infrastrutture risulterebbe “aiuto di Stato”. La terza: le Adsp perderebbero ogni ruolo di regolazione, autoritativo, di coordinamento dei soggetti istituzionali in porto e di controllo in materia di lavoro.
Il mondo portuale è, purtroppo, frammentato dal punto di vista associativo, ma questa vicenda tiene uniti il cluster e la politica. In questi giorni, infatti, abbiamo dato voce anche alle posizioni bipartisan di esponenti politici. Sono state presentate due risoluzioni, di PD e IV, quella del Movimento 5 Stelle pare imminente e anche la Lega è pronta a chiedere al Governo di adottare urgentemente, presso le sedi competenti, ogni iniziativa utile a fermare in extremis la decisione della Commissione europea, che comporterebbe un radicale stravolgimento dell’impianto normativo vigente con conseguenze gravissime sulla nostra economia. Il compito del Governo e della ministra Paola De Micheli, a questo punto, deve essere quello di rappresentare con forza e determinazione, nella trattativa con la Commissione, gli interessi del Paese e della portualità. Il tempo stringe, possiamo ancora farcela, a patto che non vengano commessi altri passi falsi!
Storia di un “pasticcio” all’italiana
La vicenda è nota, risale al 2012, ma è entrata nel vivo solo negli ultimi mesi subendo un’accelerazione lo scorso 10 gennaio quando Bruxelles ha pubblicato una lettera in Gazzetta riportando nero su bianco la sua posizione ufficiale.
Di fatto, la Commissione europea chiede al nostro Paese di mettersi in regola e di adeguare le proprie norme a quelle comunitarie. Nel mirino, ci sono i presunti “aiuti” concessi alle Adsp: le Autorità di sistema portuale, giudicate dall’Europa imprese a tutti gli effetti perché affidano autorizzazioni e concessioni dietro il pagamento di un canone, quindi costrette a pagare l’Ires, cioè la tassa che grava sulle altre imprese italiane, al fine di evitare distorsioni della concorrenza.
Nella missiva di Bruxelles, che rientra nell’ambito di un procedimento aperto formalmente contro l’Italia per aiuti di Stato, la Commissione chiede al nostro Paese di replicare alle sue durissime osservazioni entro 30 giorni. Una replica ufficiale da Roma c’è stata, ma non si conosce ad oggi né il merito della risposta né chi del Governo sia stato delegato a trattare una materia tanto spinosa. L’auspicio di tutti è che la ministra De Micheliscenda in campo in prima persona per far valere tutto il suo peso politico.
A chiederlo, all’unisono, sono operatori e associazioni di settore che hanno rilevato come la posizione della Commissione europea si fondi su “presupposti errati e non contestualizzati”. Una posizione che peraltro potrebbe provocare un grave paradosso: ossia, uno Stato che dovrebbe tassare sé stesso visto che le Adsp per Roma altro non sono che enti pubblici di diretta emanazione del Mit. Ma non solo: se le Autorità portuali saranno considerate a tutti gli effetti delle società da tassare per via del principio di libera concorrenza, allora potrebbe essere messo in discussione anche il loro ruolo di controllo nella gestione dei porti. Ed aprire la strada, a questo punto, a possibili privatizzazioni.
Il problema è che fino ad oggi il confronto tra Italia e Ue si è trascinato avanti da anni. Sette, per l’esattezza. Tuttavia, in tutto questo tempo i Governi italiani che si sono succeduti non sono stati in grado di affrontare con serietà e continuità il confronto con la Commissione. Il motivo? Probabilmente, perché la rappresentanza italiana a Bruxelles, delegata a perorare la causa dei porti, non è stata sufficientemente preparata e dotata di argomenti per contrastare l’impostazione europea della DG Competition. Senza un’azione concreta e fortemente argomentata da parte del Governo, la controversia potrebbe risolversi con la Commissione che dà ragione alla Dg Competition e riconosce la normativa italiana contraria ai principi di libera concorrenza. A quel punto, la conseguenze inevitabile potrebbe essere l’apertura di una procedura di infrazione.