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Porti tassati, Munari: “UE sbaglia”. Zunarelli: “No al piano B”. Duci: “Il ricorso? Utile a prendere tempo” / Il dibattito

Genova – E’ tardivo ma necessario, anzi obbligatorio il ricorso dell’Italia alla Corte di Giustizia europea contro la decisione della Commissione di imporre la rimozione dell’esenzione dall’imposta sulle società (IRES) per le Autorità di Sistema Portuale (AdSP).

Su questo punto, sembrano essere tutti d’accordo. E’ sull’utilità del ricorso che giuristi e cluster del mare si dividono. “La Commissione sbaglia, per questo motivo possiamo vincere”, dice Francesco Munari, professore ordinario di Diritto dell’Unione Europea, Diritto transnazionale dell’ambiente e Diritto marittimo all’Università di Genova. Esperto in materia antitrust/regolazione, infrastrutture e trasporti.

“La battaglia è difficile, ma francamente è prematuro pensare ad un piano B”, avverte Stefano Zunarelli, tra i più noti esperti europei di Diritto dei Trasporti e della Navigazione. “La decisione europea contiene una serie di errori, i più evidenti sono i cosiddetti criteri del vantaggio economico per le AdSP”, puntualizza Davide Maresca, managing partner dello studio legale Maresca&Partners, specializzato in materia di aiuti di Stato, concorrenza e regolazione delle infrastrutture di trasporto.

Il ricorso di Roma contro Bruxelles? “E’ utile, ma solo per prendere tempo”, risponde Gian Enzo Duci, vice presidente di Conftrasporto, past president di Federagenti e managing director ESA Group.

ShipMag riprende alcuni passaggi significativi emersi durante il webinar “Tassazione porti e governance portualità. Senza chiarezza e progettualità industriale, quale chiarezza?”, organizzato giovedì scorso, 14 gennaio, per i 20 anni di Assiterminal.

FRANCESCO MUNARI RISPONDE

Perché la Commissione Europea sbaglia a voler tassare i porti italiani?

“Nei nostri porti c’è ancora un sistema, sebbene non perfetto, abbastanza stabile nell’ambito del quale al vertice c’è il ministero che dialoga con le Autorità di Sistema portuale. Poi, c’è l’attività imprenditoriale privatizzata che opera nei porti da decenni. Nel mirino di Bruxelles non ci sono però solo i canoni demaniali ma anche tutte le altre tasse: portuali, ancoraggio e merci. Cioè qualunque tassa di scopo che un ordinamento legittimamente può imporre”.

In che misura la Commissione Europea sbaglia?

“E’ come se noi dicessimo che i Comuni italiani sono imprese nella misura in cui fanno pagare la Tari piuttosto che gli spazi comunali per i gazebo esterni. Allora, questa può essere intesa come attività d’impresa, trasformando i Comuni in imprese. E tutti i trasferimenti tra Stato e Comuni diventano aiuti? Quindi, l’effetto della decisione della Commissione è quella di aver sbagliato completamente prospettiva. Nel senso che le Autorità di Sistema Portuale sono enti pubblici non economici. Lo dice la legge. Non esiste un precedente della Corte di Giustizia che nega questa aspetto. L’esclusione della natura tributaria dei canoni demaniali e di tutte le altre tasse portuali è un altro svarione, visto che la Commissione considera un’eccezione ingiusta il fatto che una amministrazione non paghi le tasse e non si rende conto che nessuna amministrazione paga le tasse nel nostro Paese”.

A chi rispondono le AdSP?

“Le Autorità di Sistema Portuale fanno capo a tutti gli effetti al MIT, anche dal punto di vista del patto di stabilità e dei bilanci. Sono vere e proprie amministrazioni. Le AdSp non possono fare quello che vogliono con le loro entrate, ma devono rispettare regole stringenti che sono determinate dalla loro natura e quindi non c’è alcun onere aggiuntivo per lo Stato, visto che fanno capo al MIT. L’altro errore dal punto di vista tecnico è quello della natura selettiva del regime di tassazione delle AdSP, secondo cui le Autorità italiane sarebbero avvantaggiate rispetto ad altri. Ma altri chi? Se le imprese terminaliste concessionarie, come tutti sanno, sono società che pagano le tasse sul reddito di impresa”.

Quindi, non c’è nessuna distorsione del mercato?

“Le distorsioni sulla concorrenza, che vengono assunte come qualificanti nella decisione della Commissione, sono assolutamente inesistenti. Le AdSP non concorrono con nessuno perché il demanio è tutto dello Stato. Quindi semplicemente le AdSP non svolgono attività di impresa e quindi non competono con le imprese portuali, né c’è una contendibilità del bene demanio o del bene sul quale si trovano i porti perché è tutto demaniale. E quindi non c’è nemmeno alcuna natura selettiva”.

STEFANO ZUNARELLI RISPONDE

Gli argomenti in difesa dei porti italiani sono forti oppure no?

“Sono decisamente forti. Le AdSp sono enti strumentali dello Stato e sono assoggettate ad un penetrante indirizzo di controllo da parte del MIT. Quindi, qualificarle come imprese è assolutamente una forzatura. Non vi è tanto meno una distorsione della concorrenza per effetto dell’esclusione delle AdSp dal pagamento delle imposte sulle società. Non solo, la lettura che dà la Commissione del regime fiscale italiano ignora completamente il fatto che le AdSP, per come sono strutturate oggi nella legge italiana, sono assolutamente riconducibili alle categorie di soggetti che sono esentate dal pagamento delle imposte sulle società ai sensi dell’ordinamento generale tributario italiano”.

Quante possibilità ha l’Italia di vincere la partita contro la Commissione Europea?

“E’ inutile nascondersi, la battaglia sarà durissima. Per questo motivo, occorrerà far valere con molta forza i nostri argomenti nelle sedi giurisdizionali europee competenti. In questo senso, il precedente francese non aiuta. Penso che in questo momento sia prematuro pensare ad un piano B, in tutta franchezza: perché gli elementi su cui bisogna ragionare sono sul fatto che oggi sia i dritti portuali e simili che quelli di concessione siano configurati come entrate dirette delle AdSp. Paradossalmente, se queste entrate fossero dello Stato e poi venissero girate alle AdSP, le obiezioni della Commissione sarebbero assolutamente superate. E’ un inutile appesantimento del sistema, tuttavia dovrebbe essere riproposta con forza questa argomentazione che porta ad escludere la ricostruzione effettuata dalla Commissione. E’ un’ipotesi di lavoro su cui si potrebbe iniziare a ragionare”.

DAVIDE MARESCA RISPONDE

In che punto giudica la decisione della Commissione Europea più vulnerabile?

“La decisione della Commissione contiene una serie di errori, alcuni più evidenti di altri. Ad esempio, gli stessi criteri di applicazione dell’. 107 del Trattato, in particolare la norma con cui vengono accertate le violazioni degli aiuti di Stato: i cosiddetti criteri del vantaggio economico. Vantaggio che oggi le AdSp non hanno perché non sono libere di spendere e di investire come Bruxelles invece sembra paventare nella sua decisione. Un punto, questo, sul quale la Commissione sembra molto poco convincente”.

Perché?

“Questa valutazione non è stata accertata, nel senso che non c’è stata da parte della Commissione una seria ricostruzione dei fatti. Ricostruzione che stabilisse in modo chiaro e trasparente in che misura il mercato dei porti sia rilevante in Italia. Bensì la Commissione paventa che ci sia una ipotetica rilevanza in termini di concorrenza del traffico prodotto sui terminal italiani rispetto al traffico prodotto da terminal presenti in altri Stati membri. Ma non c’è un collegamento tra il traffico prodotto dalle AdSP, perché sappiamo tutti che sono i terminalisti a farlo. Sotto questo profilo vedo profonde debolezze”.

In tema di porti c’è stata di recente una sentenza contro la Francia. Può avere un peso sul giudizio dell’Italia?

“Ovviamente, non aiuta anche se la Francia ha un sistema portuale diverso da quello italiano. Ma è evidente che il Tribunale dell’Unione ha oggi un orientamento più vicino a quello della Commissione Europa. Però, non rappresenta l’ultimo grado di giudizio, poi c’è quello della Corte di Giustizia, Quindi, gli strumenti giuridici da utilizzare sono diversi”.  

GIAN ENZO DUCI RISPONDE

Per difendere i nostri porti serve andare in giudizio?

“Si, ma solo per prendere tempo. Per spostare nella mani di altri la partita che si sta giocando ora. Detto questo, a me non sembra che l’Unione Europea abbia preso di mira in maniera diretta la natura giuridica dei nostri porti. In realtà, Bruxelles ha identificato alcune attività come economiche e altre no. Le seconde non vanno chiaramente tassate, tra cui ci sono i servizi di sicurezza, però le prime sì”.

In questo caso, l’Italia è indifendibile?

“Premesso che l’Italia ha avuto tanti anni per difendere le sue posizioni in Europa. Ma non l’ha fatto o l’ha fatto male. Ora la posizione italiana è molto più difficile da difendere, visto che prima di discuteva solo dei canoni demaniali, poi nel mirino sono finite anche le tasse portuali, considerate anch’esse attività economica”.

Che cosa accade negli altri Paesi UE?

“Su 27 Paesi UE, 22 hanno i porti marittimi. Su 22 di essi, se si esclude l’Italia, quindi 21, vedono la contabilità degli organi che regolano e gestiscono i porti con modalità privatistica. Su 22 Paesi, 19 prevedono il pagamento delle imposte su alcuni redditi prodotti dalle Autorità portuali. Dei 3 Paesi che non li pagano, c’è l’Italia. Degli altri due non ho riferimenti quindi li ho derubricati. Spero di sbagliarmi ma credo che sarà molto difficile recuperare posizioni contro la Commissione e difendere la nostra posizione come abbiamo fatto fino ad oggi” 

Di che numeri stiamo parlando?

“Se prendiamo i numeri 2018 del ministero, relativi ai porti italiani, vediamo che le AdSP  italiane, in maniera aggregata, hanno generato ricavi di poco superiori al miliardo di euro.  Se prendiamo tutte le entrate – canoni demaniali, tasse portuali e trasferimenti da parte dello Stato –. notiamo che i canoni hanno generato circa 160 milioni e le tasse portuali circa 323 milioni di euro di ricavi nel 2018. Considerato che le AdSP pagano già oggi le tasse, circa 16 milioni due anni fa, l’interesse della UE dovrebbe cubare intorno a 500-600 milioni di euro. Se ci fossimo difesi prima e seriamente, l’interesse sarebbe stato assai più piccolo” .