Porti e Infrastrutture Shipping e Logistica

Verso una nuova fase per il settore marittimo-portuale? / L’intervento

Un’analisi a cura di Marco Bertorello su traffici marittimi, economia globale, nuovi e vecchi modelli di sviluppo

Digitalizzazione, finanza e sistema dei trasporti costituiscono lo scheletro dell’economia contemporanea. Questa triade rappresenta il momento più avanzato del meccanismo di valorizzazione dei capitali. Per quanto attiene a produzione e distribuzione di merci, cioè alla famosa economia reale (ammesso che abbia ancora senso distinguerla da quella finanziaria), i trasporti e la logistica hanno assunto una funzione centrale. Questo avamposto dei processi economici è tra i segmenti più sensibili ai cambiamenti. In particolare a quelli in corso, i quali stanno conducendo probabilmente verso una trasformazione di fase vera e propria.

Alla crisi del modello keynesiano-fordista incentrato ancora sulle nazioni tra anni Sessanta e Settanta si è risposto con quello neoliberale e globale, ove lo Stato perdeva sovranità verso l’alto e verso il basso, ove la politica veniva depotenziata dall’economia. La crisi di quel modello ora sta conducendo verso un ulteriore cambio di marcia. Lo Stato torna a salvare l’economia, si affermano striscianti protezionismi, la geopolitica riprende campo fino a scivolare in conflitti bellici che non si esauriscono su una scala semplicemente locale. Ma tutto ciò non vuol dire che siamo di fronte a una sorta di legge del pendolo secondo cui si oscilla tra corsi e ricorsi storici. Dopo la fase neoliberale non c’è nuovamente il keynesismo. Tanto meno si torna ai trent’anni gloriosi del dopoguerra, non c’è alcun boom economico dietro l’angolo. Neppure si afferma un ritorno dello Stato interventista per come lo abbiamo conosciuto, nel bene e nel male, in quel periodo.

La globalizzazione, innanzitutto, è andata talmente in profondità da rendere praticamente impossibile tornare al punto di partenza. Quel che appare affermarsi è una sorta di deglobalizzazione selettiva, cioè un processo che riduce l’incidenza di trame globali, ma senza azzerarle, magari riconfigurandole su base geopolitica e per macro-aree. Anche per ridurre la vulnerabilità di un sistema di forniture oramai ritenuto eccessivamente lungo e dispersivo.

Una nuova normalità contraddittoria

Tutto ciò rende il panorama e il senso di marcia dei processi piuttosto complesso e articolato, per non dire contraddittorio. Quella che negli Stati Uniti è stata chiamata  «nuova normalità», cioè la stabilizzazione di un regime economico con crescita tendenzialmente stagnante, subisce nuove fibrillazioni nel quadro in fieri. Se i trasporti, e specificatamente quelli marittimo-portuali, rappresentano un avamposto del modello contemporaneo allora ragioniamo sulle ricadute nel settore.

Il ritorno della geopolitica comporta uno sconquasso degli assetti globali del commercio. È possibile iniziare a fotografare la nuova traiettoria al Forum economico mondiale di Davos del 2017, dove il discorso di Xi Jinping difendeva la globalizzazione dal crescente protezionismo, in particolare da parte degli Stati Uniti. Il paradosso era che i principali fautori della liberalizzazione economica e finanziaria erano diventati quelli che tiravano il freno dopo aver registrato una serie di effetti collaterali controproducenti. Eterogenesi dei fini. Tale tensione conduce a una riduzione della gittata per gli scambi, al politico che torna a scalfire il primato dell’economico. Per non andare tanto lontano questo si traduce nell’abbandono della Nuova Via della seta da parte dell’Italia. Un progetto che non nascondeva certo gli interessi cinesi, ma che incontrava una sponda in quella parte del nostro paese proiettata verso oriente. Dalle imprese italiane esportatrici a quelle importatrici, passando per il sistema dei trasporti, in particolare via mare.

La deglobalizzazione selettiva comporterà una riduzione dei traffici con l’Asia? E quanto saranno sostituiti da quelli con il blocco euroatlantico? Sarà un gioco a somma zero? I traffici nel prossimo futuro continueranno a crescere poiché continuerà ad affermarsi un’economia basata sugli scambi? Difficile dare risposte positive a tali quesiti. L’incertezza, perlomeno, prevale. Anche se qualche nuova chance per l’Italia potrebbe arrivare se riuscisse a ritagliarsi un ruolo di nuovo subfornitore del blocco politico ed economico che potrebbe ruotare attorno agli Stati Uniti. Si vedrà.

Per il momento l’andamento degli scambi commerciali è in riduzione significativa per via degli shock continui. Dal Covid-19 alla guerra in Ucraina, dall’inflazione alle politiche monetarie restrittive, fino alla crisi mediorientale. A ciò si aggiungono le sempre più diffuse sanzioni economiche che fanno da contorno ai conflitti geopolitici, tanta da far parlare un esperto come Alessandro Aresu di «sanzionismo, malattia senile del globalismo».

Gli scambi commerciali, quindi, risultano in contrazione dall’ultimo trimestre del 2022. A ottobre il Wto ha previsto per il 2023 un aumento rispetto all’anno precedente dello 0,8%, solo ad aprile ipotizzava più del doppio (1,7%), a fronte di una crescita del Pil mondiale data come stabile attorno al 2,3%. Il commercio rallenta, dunque, e il Prodotto lordo globale resta stabile. Forse a dimostrare come lo scambio internazionale di merci sia già un fattore non del tutto decisivo nella produzione di ricchezza di ogni paese.

Se questo è il quadro il comparto dei trasporti rischia di subire una riduzione dei tassi di crescita. L’Unctad afferma che nel 2022 il volume delle merci trasportate via mare è aumentato solo dello 0,4%. Per il 2023 prevede un aumento un poco più sostenuto pari al 2,4%. Ma sempre l’Unctad prevede che nel successivo quinquennio il rialzo sarà più contenuto. Ma se guardiamo il volume di merci trasportate via container nel 2022 ha totalizzato una flessione pari a -3,7%, mentre per il 2023 si prevede una ripresa del 1,2%. Da un anno all’altro gli ordini di grandezza nel loro oscillare restano tendenzialmente modesti. Mentre si rileva un ridimensionamento del trasporto marittimo in relazione agli altri settori del trasporto. Nel 2021 il primo è sceso al 68%, cioè 2 punti percentuali in meno rispetto al 2012.  Le merci continuano a esser trasportate prevalentemente via mare, ma un po’ meno.

Deglobalizzazione selettiva e concentrazione economica

I processi di deglobalizzazione selettiva, sommariamente richiamati, si innestano su un panorama delle imprese fortemente integrato che ha dato vita a elevate dosi di concentrazione industriale e finanziaria. Oramai molteplici studi riconoscono il fenomeno. I ricercatori che ruotano attorno a Emiliano Brancaccio hanno provato a misurare il grado di tale concentrazione nelle proprietà azionarie. Essi parlano di «monopolizzazione dei mercati» in quanto l’80% delle quote di controllo del capitale mondiale era in mano al 1,25% degli investitori nel 2001 per poi scendere al 1% nel 2016.

Grandi concentrazioni, dunque, che vanno aumentando nel tempo. Grandi differenze non si trovano neppure se volgiamo lo sguardo ai principali singoli paesi. In Russia l’80% del capitale è in mano al 9% di azionisti, in Cina il 4%, in Italia il 3%, in Germania il 2% e negli Stati Uniti 0,3%. Indubbiamente il peso dell’economia finanziaria condiziona la statistica. Ma se guardiamo le proporzioni strettamente produttive del settore dello shipping i numeri non contraddicono questi dati.

L’Unctad sostiene che nel 2019 il 90% delle merci in termini di volume a livello mondiale è trasportato via mare, il 70% se lo calcoliamo in termini di valore. Il Centro studi di Fedespedi calcola che nel 2022 le prime nove compagnie di navigazione raggruppate in tre alleanze possedevano il 51% delle navi in circolazione e ben l’82% dell’offerta di capacità di stiva (quest’ultima dallo scorso anno è diminuita dello 0,5%). La globalizzazione del trasporto delle merci, dunque, risulta concentrata in pochi attori. Una concentrazione che non è certo inferiore a quella presente nella finanza come nell’industria digitale.

Geopolitica dell’impresa marittimo-portuale globale

Torniamo allora ai fattori contraddittori. Quelle che Sergio Bologna ha chiamato «multinazionali del mare» sono state in questi anni uno dei principali bastioni della globalizzazione. Oggi il ritorno della geopolitica le pone potenzialmente di fronte a una dinamica complicata. Se guardiamo alle principali flotte sono in capo a Svizzera (Italia), Danimarca, Francia, Germania, Cina e Giappone. Difficile ipotizzare che quanto sta accadendo sul piano geo-strategico e produttivo non le riguardi. È pensabile che si vada verso un mondo ripiegato su logiche incentrate su macro-regioni e che contemporaneamente finanza e logistica ne restino al di fuori? O meglio al di sopra? Il rischio sarebbe quello di scommettere su infrastrutture di un’economia in via di ridimensionamento.

Paesi, grandi e piccoli, storicamente affacciati al mondo con i loro traffici dovranno fare i conti con ciò che sta accadendo. Tutti questi (fatto salvo la Svizzera?) appartengono a blocchi geopolitici in formazione. La neutralità della logistica non pare un’opzione dentro un mondo di crescenti tensioni internazionali. L’impresa produttiva dovrà trovare nuovi mercati ad essa più prossimi, ne dovrà riconquistare di perduti. Il famigerato reshoring (contrario di delocalizzazione), cioè riportare a casa almeno parte delle produzioni, è stato avviato negli Usa di Obama, radicalizzato da Trump, non contraddetto da Biden. Al momento resta ancora relegato a una dimensione simbolica. Ma la pandemia ha dimostrato che a valle della sbornia globalista è necessario possedere catene di approvvigionamento relativamente corte, mantenere filiere dentro una cornice nazionale su risorse strategiche.

La stessa autosufficienza o lo spostamento del baricentro commerciale dei prodotti energetici, perseguiti da molti paesi dopo l’invasione dell’Ucraina, rappresentano un primo significativo esperimento che va nella nuova direzione. Per giunta su una tipologia di prodotto, quello energetico appunto, che al momento possiede una centralità indiscutibile. Se questa prospettiva, sommariamente descritta, è realistica, si affermeranno processi articolati, contraddittori e, certamente, lunghi. Si ridurrà, senza scomparire, la presa dell’economia globale che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni. Il settore marittimo-portuale dovrà commisurare il suo profilo alle novità. Se una nuova offerta di merci, per giunta in un contesto stagnante, va mutando l’economia dei trasporti, allora operatori, istituzioni, forze politiche e sociali dovrebbero iniziare a tenerne conto nei rispettivi piani.