Pubblichiamo un intervento della giornalista Giovanna Visco
Quasi 1miliardo e 400 milioni di persone, di cui oltre il 33% urbanizzato, è la cifra del principale mercato mondiale della domanda di olio alimentare: l’india, da cui dipendono le principali rotte dei traffici internazionali e le economie dei principali paesi esportatori di questa commodity.
È il caso della Malaysia, 2° produttore mondiale di olio di palma dopo l’Indonesia, con 600.000 piccoli agricoltori e un’occupazione di settore di quasi un milione di unità, che si è vista bloccare dall’India gli acquisti del suo olio raffinato, a seguito delle critiche politiche contro il governo di Nuova Delhi espresse dal primo ministro malese, Mohathir Mohamad, riferite alla promulgazione della legge sulla cittadinanza, che discrimina i musulmani, e alle azioni intraprese nello Jammu e Kashimir lo scorso settembre.
Per il blocco commerciale della commodity in India, dal 2015 principale cliente con un trend di crescita che nel 2019 ha drenato ¼ dell’export malese, nel primo bimestre dell’anno la Malaysia ha registrato un crollo complessivo di export di olio di palma del 54% ed una discesa dei future di oltre il 20%. A gennaio i suoi flussi di olio di palma raffinato verso l’India, che hanno coinvolto anche quelli del grezzo, registravano il -85% e a febbraio il -91%, portando alle dimissioni del primo ministro e alla formazione di un nuovo governo guidato da Nuhyiddin Yassin, avvenute lo scorso 24 febbraio.
L’obiettivo della Malaysia ora è di riportare alla distensione i rapporti diplomatici tra i due paesi, per la ripresa dei traffici commerciali di olio di palma, così come auspicato dalla Malaysian Palm Oil Association, ma il Paese guarda anche a ridurre la dipendenza, allargando l’orizzonte dei mercati di riferimento verso Russia e Medio Oriente, da affiancare a quelli principali di India, Cina e paesi Ue, e sta pensando ad azioni mirate per affrontare la discriminazione contro l’olio di palma fomentate da diverse campagne internazionali.
La questione diplomatica India-Malaysia ha avuto ripercussioni dirette sui traffici internazionali di olio di palma, incrementando la domanda indiana della commodity verso l’Indonesia, primo produttore mondiale con la quota del 55%, che a sua volta ha dirottato i carichi a discapito di altri paesi importatori, tra i quali Pakistan, Arabia Saudita, Ghana, Bangladesh, che a loro volta si sono rivolti al mercato malese.
A questo si aggiunge il graduale orientamento indiano verso prodotti oleari alternativi, causato dal rincaro dell’olio di palma indonesiano, il più competitivo sul mercato, che già in rialzo dall’anno scorso a causa della crescita del suo impiego nel biodiesel (già tra luglio e dicembre 2019 i prezzi di mercato dell’olio di palma avevano registrato aumenti fino al 60%), è rimbalzato ulteriormente con il surplus della domanda indiana di questi ultimi mesi, benché attualmente calmierato dagli effetti coronavirus.
A gennaio 2020 l’import indiano di olio di palma è sceso del 27%, ma è aumentato del 40% quello di soia e del 51% quello di girasole (dati SEA), uno spostamento favorito dalla politica doganale indiana che ha sottoposto a licenza gli import di oli vegetali raffinati, contribuendo a favorire l’ingresso di olio di semi di girasole da Ucraina e Russia, e quello di soia dall’Argentina. Nel I trimestre 2019/2020, l’import di olio di palma è sceso a 2 milioni di tonn (14%), mentre soia e girasole sono saliti a 1,36 milioni tonn (26%) (dati SEA), determinando un aumento, finora ancora contenuto per effetto coronavirus, delle loro quotazioni: i prezzi della soia nel Board of Trade di Chicago sono aumentati di 1,48%.