Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento di uno degli imputati assolti per non aver commesso il fatto dopo un processo a Livorno per abuso d’ufficio e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici.
di LUCA BECCE
“Male non fare, paura non avere”, mi scrisse qualche giorno fa un amico su FB in commento a un mio post nel quale sostenevo corretta la posizione del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, in materia di riservatezza delle intercettazioni. Una massima, questa dell’amico Paolo, del tutto sbagliata di fronte a fatti come quello che si è concluso oggi. Certo, sono stato assolto “perché il fatto non sussiste”. La soluzione migliore e più liberatoria. Uscita dopo neanche mezz’ora di camera di consiglio…
Ma questa soluzione arriva dopo 5 anni, 4 dei quali trascorsi tra udienze preliminari e dibattimento.
Cinque anni fa, un giorno di marzo del 2017, vengo informato da un amico, coimputato, che in prima pagina del principale quotidiano livornese era pubblicata una intercettazione telefonica che mi riguardava. Io non avevo ricevuto avvisi di garanzia. Scrissi una lettera al giornale e chiesi al mio avvocato di capire cosa stesse accadendo. Ricevetti l’avviso quasi due mesi dopo la pubblicazione di quella intercettazione. Chiesi di essere sentito dal Pm, ma non fui mai convocato.
Nell’udienza preliminare il Pm dichiarò trasparentemente che aveva iniziato quella indagine, 4 anni prima, nel 2015, mosso da un esposto di un’azienda concorrente. Quattro anni di intercettazioni telefoniche e ambientali lo portarono a escludere esistesse qualsiasi forma di corruzione. Ciò nonostante ritenne di chiedere lo stesso il nostro rinvio a giudizio per abuso di ufficio e falso ideologico, per gli amministratori, e istigazione per gli stessi reati per me e per gli altri dirigenti e amministratori. E lo fece, nonostante che la perizia di parte del Pm fosse stata smontata pezzo per pezzo da tutti gli avvocati delle difese. Una perizia che dimostrava la assoluta ignoranza della complessa materia della legislazione portuale. Con nostra enorme sorpresa il Giudice per le Udienze Preliminari accordò il rinvio, con una motivazione nella quale scriveva che non aveva sufficiente conoscenza della materia per negare la richiesta del Pm (a proposito di separazione delle funzioni e delle carriere…).
Quindi iniziò il processo, nel giugno 2020, che si è concluso oggi. Il mio avvocato è stato pagato dalla azienda che dirigevo negli anni in questione. E ringrazio la TDT per questo. Se non lo avesse fatto, e avrebbe potuto benissimo astenersi dal farlo, mi sarei dovuto sobbarcare un costo di svariate decine di migliaia di euro che nessuno restituirà. Come nessuno restituirà al presidente della Adsp e al segretario 8 mesi di sospensione dall’incarico e lo stesso ai miei colleghi che ancora lavorano nelle aziende coinvolte, che hanno dovuto scontare 6 mesi di sospensione.
Quale è dunque la morale di tutto ciò?
La prima, l’ho detto all’inizio, che la massima “male non fare…” non funziona proprio in questi casi. Non ho fatto male, è sancito da un tribunale che ha impiegato mezz’ora di camera di consiglio a deciderlo, ma ho subito 4 anni di processo e avrei dovuto pagare molti e molti soldi per difendermi.
La seconda è che è sacrosanto che un Procuratore di fronte a un sospetto voglia indagare e usi tutti gli strumenti che gli consentano di farlo, ma quando vede che le ipotesi dalle quali era partito si rivelano del tutto infondate, forse, è il caso che si fermi e rifletta.
La terza è che un Gup dovrebbe avere e dimostrare la stessa indipendenza di giudizio che ha dimostrato il collegio giudicante.
La quarta è che le intercettazioni non possono e non debbono essere rese pubbliche, a maggior ragione se l’intercettato non ha neanche ricevuto l’avviso di garanzia.
Credo nella giustizia. Profondamente. Ma ci sono cose che non funzionano davvero.