Secondo il presidente di Nomisma Energia nel settore marittimo le energie verdi non sono oggi competitive. “Le metaniere nuove sono molto richieste, però nei cantieri navali del mondo non c’è la corsa a costruire moltissime unità di questo tipo: gli investitori sono prudenti al riguardo”
“Fare previsioni è difficile, soprattutto sul futuro”, dice un famoso aforisma. Si tratta di una verità (ironica) universale, ma particolarmente vera per quanto riguarda il mercato dell’energia, come dimostrano gli eventi degli ultimi dodici mesi: la guerra della Russia in Ucraina è arrivata come un fulmine a ciel sereno e
ha causato non un semplice aumento, ma una catastrofica moltiplicazione del prezzo del metano. Poi c’è stata una quasi altrettanto drastica discesa delle quotazioni, dovuta alla sorprendente velocità con cui l’Europa è riuscita a fare a meno del gas russo. Le altre materie prime energetiche hanno seguito (sia pure con meno violenza) lo stesso andamento. Ma adesso dobbiamo aspettarci che la tendenza al ribasso si consolidi, o dobbiamo temere nuove e pesanti oscillazioni? E questo che impatto avrà, in particolare, sui trasporti marittimi mondiali? Con la riserva di cui sopra, lo chiediamo a Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia e massimo esperto italiano del mercato dell’energia.
Abbiamo davanti a noi un 2023 di gas (e di petrolio, e di carbone) a prezzi via via più bassi?
“I fondamentali del mercato ce lo fanno sperare. La domanda di metano in Europa occidentale è calata parecchio, la Russia continua a pompare gas a tutto spiano, il metano in giro per il mondo è tantissimo, e la Germania ha realizzato un impressionante Blietzkrieg energetico realizzando a tempo di record tre nuovi rigassificatori e aumentando fortemente il consumo di carbone. Inoltre i tedeschi non hanno spento, come avevano deciso, le loro ultime centrali nucleari, e la manutenzione di alcuni impianti atomici francesi, che era coincisa (per caso) con le recenti difficoltà, è stata completata rapidamente. Come risultato, il gas che era arrivato a 343 dollari per MegaWatt/ora in agosto alla Borsa di Amsterdam oggi oscilla attorno ai 60, ed entro fine anno potrebbe raggiungere i 40. Insomma sembra proprio che la bolla del gas sia scoppiata. Comunque va tenuto presente che 40 dollari corrispondono a un prezzo doppio della media storica del metano. In parallelo, con minore violenza di oscillazioni, si è mossa la quotazione del petrolio, ma in questo caso sarei più cauto nell’immaginare un calo duraturo, anzi, l’attuale prezzo di 80-85 dollari nel corso del 2023 potrebbe tendere a risalire verso 90 o 100”.
Tutto questo che impatto ha sul trasporto navale?
“Il bunker resta più che mai indispensabile, e come unica alternativa ha altri liquidi derivati dagli idrocarburi, perché hanno una densità energetica che l’elettricità e le rinnovabili non possono raggiungere. In mare le energie verdi non saranno mai competitive, per quando si può prevedere. E la domanda di combustibili navali aumenterà, perché la globalizzazione continuerà a svilupparsi, nonostante le crisi politiche ed economiche, e la globalizzazione si basa sulla rete dei trasporti via mare”.
Le navi metaniere saranno sempre più numerose?
“Il trasporto di gas via tubo fra Russia e Europa si è quasi interrotto e questo ha portato a un maggiore uso delle navi metaniere. Adesso le metaniere nuove sono molto richieste sul mercato dei noli, e quelle vecchie vengono riadattate per trasformarsi in impianti galleggianti di liquefazione del metano o di rigassificazione. Però nei cantieri navali del mondo non c’è la corsa a costruire moltissime metaniere: gli investitori sono prudenti al riguardo”.
Tornando al discorso più generale, che contributo stanno dando le rinnovabili alla soluzione dei problemi energetici attuali?
“La transizione energetica è in corso, ma è inevitabilmente lenta, e non può dare un contributo immediato alla sostituzione del gas russo. Nel 2022 in Italia la nuova potenza installata dovuta alle energie verdi ha sostituito circa un decimo del metano russo che è venuto a mancare. È stato un contributo importante, ma che non può essere esclusivo, la quasi totalità dell’energia di cui abbiamo bisogno deve venire da altre fonti”.
Nella transizione energetica fare troppo e troppo in fretta può essere un rischio anche per l’ambiente, oltre che per l’economia? Se l’industria europea viene penalizzata dai costi di una transizione troppo veloce, dovrà cedere ulteriori quote di mercato mondiale alla Cina, che poi produrrà quelle quote in maniera più inquinante.
“Questo non è solo un rischio, è qualcosa che è già successo e sta succedendo. In Europa i pannelli fotovoltaici e le batterie elettriche vengono prodotti da fabbriche cinesi che traggono l loro energia dal carbone. E lo stesso succede per sempre più prodotti industriali di ogni tipo. Distruggere la nostra industria imponendoci una transizione troppo veloce e troppo costosa fa male all’economia europea, ma fa male anche all’ambiente globale”.
Ma anche i cinesi stanno compiendo la loro transizione verde, o no?
“Lo fanno a un ritmo molto più lento, sganciandosi in modo graduale dalle fonti fossili, non in maniera accelerata come si è imposta di fare l’Europa. Di questo passo la Cina completerà la transizione verde, se vorrà farlo, solo dopo che l’Europa avrà auto-distrutto la sua industria”.