Pubblichiamo l’intervento del segretario generale della Uiltrasporti, Claudio Tarlazzi.
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Roma – Aspettavamo da tempo un giornale come ShipMag, per rappresentare le radici del lavoro portuale, che sono anche le nostre e che non vanno mai dimenticate, perché rappresentano un pezzo decisivo della storia e delle lotte del lavoro nel nostro Paese.
Lotte che nei porti, proprio per la loro crucialità, non vedono mai fine: quotidianamente fronteggiamo reiterati tentativi di bypassare le regole, che profilano rinnovate forme di sfruttamento. Tra questi, l’autoproduzione ingiustificata per il rizzaggio e derizzaggio dei rotabili, che si affianca all’orientamento della Commissione Europea che vorrebbe assoggettare le AdSP alle imposte dovute dalle imprese commerciali. Una tale previsione, se dovesse passare, non farebbe altro che modificare l’attuale modello di governance, andando a supportare il processo di privatizzazione dei porti, tanto sponsorizzata dai grandi liners, che vorrebbero così monopolizzare le banchine. Su questo è necessario che il Governo italiano sia incisivo e deciso: occorre respingere tale proposta, che avrebbe effetti disastrosi sui traffici commerciali del nostro paese, sul lavoro portuale e sulla competitività internazionale dei nostri porti. Per garantire una corretta iniziativa privata e la tutela del lavoro, è necessario che i porti restino ambiti pubblici.
Oltre questo, dobbiamo affrontare anche l’inevitabile processo di automatizzazione del lavoro di banchina, che tuttavia non può e non deve snaturare la specializzazione del lavoro portuale né l’identità dei porti italiani, che hanno saputo, a differenza di altri, raggiungere un equilibrio tra soggetto regolatore AdSP, imprese, terminal portuali e soggetti erogatori di lavoro temporaneo, creando un contesto di imprese e di lavoro flessibile, regolato per legge e con previsione contrattuale. E riguardo ciò, dopo brusche interruzioni da parte datoriale che ci ha portato anche allo sciopero, abbiamo ripreso il confronto per il rinnovo del Ccnl Porti, dal quale ci aspettiamo di ottenere apprezzabili risultati non solo salariali, ma di regole, soprattutto per la sicurezza sul lavoro e per la previdenza, istituendo un Fondo di settore per l’accompagno all’esodo.
Siamo inoltre convinti che sia anche necessario completare il quadro normativo della L.84/94 e successivo correttivo porti, per portare a sistema la portualità del Paese, sottraendola alle tentazioni federaliste delle Regioni.
Infine, occorre rendere esigibili le previsioni del 15 bis, mediante un vero utilizzo di parte delle tasse imbarco/sbarco merci, per formazione e riqualificazione professionale, ricollocazione e accompagno all’esodo dei lavoratori portuali, previsioni che chiediamo che siano estese anche ai dipendenti ex art.16 e 18. Siamo convinti che sia sbagliato dividere i lavoratori dei porti, in quanto tutti sono parte integrante di un unico “organico porto”, che produce ricchezza e sviluppo, senza mai dimenticare che nei porti tutti i lavoratori di banchina svolgono mansioni usuranti e gravose, non ancora riconosciute dalla normativa previdenziale e che ancora oggi stiamo rivendicando.