Milano – Otto aprile, 11:00 di mattina. Da poche ore è crollato il Ponte di Albiano Magra, al confine tra Liguria e Toscana, nei pressi di Aulla (Massa Carrara). “E’ morto qualcuno? Nessuno? Meno male”, sono le prime parole a caldo di Ugo Salerno, presidente e ceo del Rina, che interrompe per un attimo l’intervista, concessa a ShipMag, per accertarsi di quanto accaduto non lontano da Genova, dove lui vive e dove risiede il quartier generale del Rina (gruppo controllato per il 70% da Registro Navale Italiano, per il 27% da Naus, veicolo dei fondi di private equity Vei Capital e NB Renaissance, mentre circa il 3% è in mano al management). All’improvviso, le lancette del tempo di Ugo Salerno ritornano alle ore 11:36 del 14 agosto 2018, quando la sezione del Ponte Morandi che sovrasta la zona fluviale e industriale di Genova-Sampierdarena, lunga 250 metri, è improvvisamente crollata insieme al pilone di sostegno numero 9, provocando 43 vittime tra le persone a bordo dei mezzi che vi transitavano sopra.
Presidente, la tragedia di Genova non ci ha insegnato nulla?
“A quanto pare, no. Basta guardare a quello che sta accadendo sul controllo delle infrastrutture. Il caso di Aulla è emblematico. Rispetto a prima, non ci sono stati cambiamenti. La tragedia di Genova ha attirato una grande attenzione su di sé, ma poi dal punto di vista dell’azione non si sono visti interventi commisurati alle reali emergenze del Paese. Guardiamo anche a quello che è accaduto con il crollo dell’A6, avvenuto per colpa di una frana. Ma altri incidenti potrebbero colpire viadotti, gallerie o muri di contenimento perché, ad oggi, non c’è stata ancora una pianificazione, né tanto meno una schematizzazione, di quello che si deve fare per mettere in sicurezza le infrastrutture del Paese”.

A parole tutti parlano del “modello Genova”, ma le parole poi non si sono tradotte in fatti concreti. Perché?
“Intanto, cerchiamo di capire il modello Genova. Prima di tutto, non significa bypassare le regole. Quello che è stato accelerato è stato soltanto lo schema di gara, che però viene utilizzato in molti Paesi europei. Quindi, non stiamo parlando di uno schema isolato. In termini pratici, è stata una gara scegliendo i concorrenti e valutandoli con una procedura semplificata rispetto a quella tradizionale. È un modello con cui il Rina ha lavorato molto bene. La nostra società ha coordinato e sta continuando a farlo sia le operazioni di demolizione che di ricostruzione del Ponte. Abbiamo la responsabilità di sicurezza, project management, gestione lavori e di tutto l’aspetto ambientale, incluso del coronavirus. La verità è che noi abbiamo avuto soltanto la possibilità di avere risposte rapide, probabilmente perché c’era un’attenzione molto alta da parte di tutta la comunità e la politica sul Ponte di Genova. Ma le domande sono state fatte tutte e i permessi sono stati dati tutti”.
Il modello Genova è applicabile in tutta Italia?
“Penso proprio di sì. Questo modello dovrebbe essere assolutamente la normalità. Peraltro, ci tengo a puntualizzare che il Codice degli Appalti non è stato bypassato. Ripeto, l’unica vera differenza rispetto al passato è che ci siamo confrontati con un’amministrazione che ha dato risposte in tempi rapidi. A maggior ragione dopo il Covid 19, il nostro Paese deve puntare sulle infrastrutture che rappresentano un incredibile volano di rilancio economico: perché se ci investiamo 1 euro, otteniamo un moltiplicatore enorme visto che mettiamo in moto l’efficienza del sistema. Basta guardare al passato, agli anni del boom economico, per capirlo. Invece in Italia, se si esclude il Ponte di Genova, si continua ad avere un’inefficienza del sistema strutturale spaventosa rispetto al resto dell’Europa. E questo rende meno competitivo il nostro sistema economico. Il paradosso è che siamo grandi esportatori di tecnologia applicata alle infrastrutture in giro per il mondo”.
Secondo lei, c’è un altro settore che potrebbe essere strategico per il rilancio del Paese?
“Quello della difesa, ma non parlo di armi. Bensì di sviluppo di tecnologie che possono essere testate in un settore strategico per il Paese, e il giorno dopo applicate alla società civile e alle persone per aiutarle a vivere meglio. Guardiamo a quello che accade nel mondo automobilistico, le tecnologie all’avanguardia vengono prima provate nella Formula 1 e poi trasferite al mercato automotive per creare efficienza di sistema nelle auto che comunemente usiamo. Per Rina il technology transfer è una delle attività di maggior successo che applichiamo a settori e clienti molto differenziati, come Whirlpool o Atlas Copco, per esempio”.
Parliamo di navi e shipping, che rappresentano sempre il vostro core business. Qual era lo stato di salute dell’armamento italiano prima del Covid 19 e come lo sarà finita l’emergenza?
“Il mondo dello shipping, alla stregua di tutte le industrie, è stato colpito fortemente dal Covid 19. Chiaramente i settori più colpiti sono due: crociere e trasporto passeggeri con i traghetti ro-pax. Questo ha dimostrato quanto sono fragili le nostre convinzioni. Se mi avesse chiesto a dicembre che cosa pensavo dello sviluppo dell’industria cruise, le avrei risposto che sarebbe stato inarrestabile perché il mondo del turismo e, quello delle crociere in particolare, presentava il miglior rapporto qualità-prezzo sul mercato. Tanto meno mi preoccupava il numero di nuove costruzioni in termini di overcapacity. Tuttavia, è bastata un’emergenza di questo tipo per capovolgere completamente la situazione. Oggi queste navi sono molto sotto utilizzate, se non ferme”.
Secondo lei, sarà una pausa temporanea. Oppure l’industria delle crociere avrà bisogno di più tempo per rialzare la testa?
“Penso e spero che sia una situazione temporanea. Le compagnie del settore, però, dovranno essere così brave da convincere le persone a ritornare sulle navi una volta che l’emergenza sarà finita, assicurando che tutto è sotto controllo dal punto di vista della sicurezza sanitaria. E’ tuttavia difficile fare una previsione sulla ripartenza, perché è difficile capire quale sarà nei prossimi mesi la reazione dell’opinione pubblica. Allo stesso modo, il trasporto passeggeri ro-pax, viste le stringenti limitazioni dei trasferimenti, in primis in Europa, stanno vivendo un momento di grande difficoltà e di scarso utilizzo. L’unico settore che, al momento, risulta veramente operativo è quello legato alle merci. Per gli altri settori, è evidente che il fermo delle industrie ha inciso pesantemente anche sulle navi da trasporto, container e carico secco. Mentre per le navi cisterne è accaduto un fenomeno inverso: la tempesta sul prezzo del petrolio, con la conseguente speculazione positiva del mercato, ha spinto ad un intenso utilizzo di navi cisterna di grandi dimensioni, oggi usate principalmente come deposito di prodotto. Perché molti trader, in questo momento, comprano visto che il prezzo dell’oil è bassissimo, immobilizzano le finanze, tengono fermo il carico e poi rivendono in un secondo momento quando il prezzo salirà”.
Un periodo meno florido, salvo qualche eccezione, lo sta vivendo l’armamento italiano ormai da più di un decennio. Dopo la crisi finanziaria del 2008, possiamo dire che l’industria di settore si è molto ridimensionata. Perché? E con quali conseguenze?
“L’armamento italiano pre Covid 19 ha dovuto smaltire una serie di problemi causati da un eccesso di ordini di navi negli anni del boom che è continuato fino al 2008, e che giocoforza si è riflesso anche negli anni successivi. Molta parte di questo armamento non è sopravvissuto alla crisi. Abbiamo visto l’intervento massiccio dei Fondi che sono entrati in possesso delle società di navigazione e hanno preso il posto del capitale delle famiglie armatoriali. Penso che l’intervento della finanza nel mondo dello shipping è qualcosa che non passerà. Anzi, sarà sempre più presente. E l’attività di tipo tecnico, come quello della gestione commerciale, sarà invece demandata ad esperti che potranno essere gli armatori tradizionali oppure i manager che lavorano in questo mondo. Ma sempre finanziati dai Fondi”.
Chi si è salvato dalla tempesta finanziaria e perché c’è riuscito?
“Operatori che già avevano una dimensione sufficiente e che, già prima della crisi, hanno pensato ad una diversificazione del business. Se si esclude Costa Crociere, che fa parte del colosso americano Carnival, penso al gruppo Grimaldi di Napoli che è diventato un gigante perché ha saputo allungare la catena del servizio: cioè, sono riusciti a fare trasporto marittimo, in settori molto complessi, ma costruendo intorno al loro core business terminal portuali e nuove attività. Altri operatori che dimostrano grande solidità sono quelli che operano nel settore del carico secco e liquido come il gruppo d’Amico il quale ha una dimensione tale che gli ha consentito di competere in un mercato sempre più grande e competitivo. Qualcun altro è riuscito a ristrutturare il suo debito e a ripartire. Però, l’armamento italiano ne è uscito fortemente ridimensionato”.
Industria e Covid 19, sono in molti a sostenere che il modello cinese sia stato quello vincente per arginare il virus e far ripartire il sistema produttivo. Qual è il suo modello?
“Il modello coreano: perché è riuscito a coniugare il rigore dei comportamenti con l’utilizzo della tecnologia. In Italia e in Europa, si parla tanto dell’invasività della tecnologia nei confronti della privacy. Ma penso che chiunque, in questo momento, sarebbe disposto a rinunciare ad un po’ di privacy per la sicurezza sanitaria. Il tracciamento delle persone poteva essere fatto per arginare la diffusione del virus. Per quanto riguarda le scelte di carattere industriale, aggiungo che sarebbe stata meglio una chiusura totale per un periodo relativamente breve che non una situazione di chiusura parziale per un periodo più lungo. Va bene che in Italia la pandemia è stata assolutamente imprevista per la sua dimensione, ma è dal 31 gennaio che questo problema è presente. Se il lockdown fosse iniziato prima, sarebbe stato meglio per tutti. Al Rina, ad esempio, la nostra task force sull’emergenza Covid 19 è stata messa in piedi il 22 gennaio. Non siamo preveggenti, abbiamo solo cercato di anticipare il problema”.
In Cina, il Rina ha stretto rapporti molto stretti sia con il mondo marittimo che con il sistema industriale in generale. Come procedono, in particolare, i vostri progetti avviati nel settore della cantieristica? Ci sono stati intoppi per colpa del coronavirus?
“L’associazione pubblica dei cantieri cinesi, con cui abbiamo instaurato un legame professionale molto stretto, sta investendo molto nello sviluppo di navi di maggior sofisticazione rispetto a quelle che facevano prima. Quindi, chiedono alle società di classifica come il RINA un supporto tecnologico per progettare unità da crociera e traghetti ro-pax. Al momento, c’è il progetto di Carnival di costruire navi da crociera in Cina, la prima è stata già ordinata e stiamo lavorando con i cantieri su due versanti: tecnologia dei materiali ed efficienza energetica. In quel progetto c’è molto made in Italy, perché c’è dietro Fincantieri. Sono convinto che, passata questa crisi, se ci saranno ulteriori sviluppi, in termini di nuove costruzioni, continueremo a far parte dei progetti visto che la nostra esperienza nel mondo cruise è unica al mondo perché, oltre a conoscere tutta la parte legata ai regolamenti, abbiamo la capacità di lavorare sulle tecnologie dei materiali: il nostro centro dedicato di Roma è cresciuto nel corso degli anni e oggi è in grado di individuare le migliori tecnologie sia nei materiali sia nelle saldature per avere degli scafi a parità di sicurezza più leggeri ed efficienti, con minori consumi e costi”.
Parliamo dei numeri del Rina: la società ha chiuso il 2019 con un fatturato atteso in crescita a 465 milioni dai 440 milioni del 2018 e un Ebitda adjusted superiore a 50 milioni, intorno al 10,5%-11% del fatturato. Che anno sarà il 2020?
“Il 2020, dal punto di vista finanziario, è un anno perso per colpa del coronavirus. E’ un peccato perché abbiamo chiuso i primi 3 mesi dell’anno con risultati migliori rispetto alle aspettative. Ma il resto dell’anno non sarà positivo. Detto questo, per farci trovare pronti, abbiamo istituito un team – RIACTION -, costituito da 10 persone che in sinergia con il management della società sta lavorando esclusivamente su progetti utili ad identificare un nuovo modo di lavorare che guardi al futuro. Nonostante il Covid 19, continueremo a crescere pensando sempre prima agli investimenti su nuove tecnologie e meno ai margini. Negli ultimi anni, la nostra dimensione è aumentata di 6 volte, sia in termini di uffici che di personale, grazie anche ad importanti acquisizioni (tra le più significative 2011 Rina Consulting, ex D’Appolonia, 2014 Centro Sviluppo materiali, 2016 Edif Group, ndr). In vista, abbiamo una nuova acquisizione, da definire in tempi brevi, di una società italiana, relativamente piccola, operativa in ambito elettronico”.
Quotazione in Borsa: a questo punto cambiano i programmi?
“Rispetto ai programmi iniziali, il mondo è completamente cambiato. Quindi, la possibile quotazione potrebbe slittare oltre il 2021. Insieme al nostro advisor finanziario Lazard, stiamo realizzando un’analisi approfondita della società per capire quali sono le soluzioni migliori da mettere in campo per crescere ancora di più”.